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venerdì 10 aprile 2015

Iran: nucleari, scherzetto di Teheran a super-potenze, via le sanzioni o la bomba

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/04/2015

Non dire gatto, se non ce l’hai nel sacco. E non dire accordo se tutti i punti non sono ben definiti e messi per iscritto, senza ambiguità. Ché se tra la stretta di mano che sancisce l’intesa e la firma che la suggella devono passare tre mesi, sai quanti inciampi possono saltare fuori. E’ quel che sta, quasi prevedibilmente, avvenendo tra l’Iran e il ‘5+1’, il gruppo delle cinque potenze nucleari storiche più la Germania, a proposito dell’accordo di massima per garantire che programma energetico iraniano sia solo civile, non militare.

Sull'intesa confezionata il 2 aprile a Losanna dopo una maratona negoziale, ma da perfezionare entro il 30 giugno, pesa un intreccio di incognite: quelle tecniche, per la complessità della materia, scientifica e industriale; quelle diplomatiche, perché l’Iran è al momento lo snodo in Medio Oriente di un sistema non simmetrico di alleanze; quelle economiche, perché la levata delle sanzioni, data per assodata da Teheran, ma messa in discussione da altre capitali, specie Washington e Parigi, è condizione ‘sine qua non’; e, infine, quelle politiche, perché sia in Iran che negli Usa l’intesa ha nemici interni potenti e agguerriti, che ne fanno un’arma di polemica interna.

I venti di guerra nello Yemen e sulle acque che lo circondano, il Mar Rosso e il Golfo di Aden, rendono il contesto ancora più intricato: gli interlocutori tradizionali degli Stati Uniti nella Regione, le monarchie sunnite, vogliono schiacciare l’insurrezione sciita nello Yemen appoggiata dall'Iran; che, però, è partner inevitabile della coalizione occidentale nella lotta contro il Califfato tra Iraq e Siria. E proprio il protagonista in Iraq dell’offensiva anti-jihadisti, il generale Soleimani, guiderebbe a Teheran il fronte ostile all'accordo nucleare.

Di fatto, il colpo di freno iraniano viene dall'alto, dalla Guida Suprema dello Stato teocratico, l’ayatollah Ali Khamenei, che avverte che l’intesa non è vincolante: "Ciò che è stato fatto finora non garantisce un accordo, né i suoi contenuti", afferma, "e neppure che i negoziati proseguiranno fino alla fine". Proprio Khamenei era stato implicato nella lunghissima trattativa sia dal presidente Rohani che dal negoziatore, il ministro degli Esteri Zarif, quasi a volerlo rendere garante.

Il nodo è quello dei tempi per la revoca delle sanzioni internazionali: l’Iran la vuole immediata, completa e contestuale alla firma dell’intesa, prevista per il 30 giugno. Gli Usa, in primis, ma pure altri co-firmatari dell’accordo quadro –Russia e Cina restano defilate- ritengono, invece, che essa debba avvenire solo "dopo la verifica del rispetto dei patti da parte dell'Iran ad opera dell'Aiea". Come peraltro previsto nella dichiarazione ufficiale congiunta pubblicata il 2 aprile.

Per Khamenei, sarebbe "inaccettabile" una revoca graduale delle sanzioni occidentali, che frenano l’economia iraniana. Ma la richiesta era già stata avanzata dal presidente riformista Rohani: "Non firmeremo se tutte le sanzioni non saranno rimosse il giorno stesso … Vogliamo un’intesa che rappresenti una vittoria per tutte le parti coinvolte nei negoziati".

I distinguo di Teheran smorzano gli entusiasmi di una settimana fa appena e riportano tutti coi piedi per terra. Secondo il ministro degli Esteri francese Fabius, c'é ancora tanto da fare per perfezionare l’accordo. Di qui alla firma, altri ostacoli potranno sorgere, anche in funzione delle tensioni belliche nel Grande Medio Oriente.

Khamenei ora si smarca dai contenuti dell’intesa e dice che sono importanti i dettagli con cui si vuole imbrigliare l’Iran: "é meglio non avere un’intesa che averne una cattiva", afferma, echeggiando le parole contro l’accordo del premier israeliano Netanyahu, che ora gongola. Come fanno a Washington i repubblicani anti-Obama e a Teheran i conservatori.

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