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mercoledì 7 ottobre 2015

Siria: Nato-Russia, sale la tensione; Italia, quasi pronti a colpire (in Iraq)

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/10/2015

Ci vuole solo “un’oretta” perché i Tornado italiani attualmente dislocati in Iraq come ricognitori ridiventino capaci di fare il loro mestiere, sganciare bombe: l’assicura il generale Mario Arpino, coordinatore della presenza dell’Italia nella Guerra del Golfo, poi capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare e quindi, della Difesa.

Solo un’ora, dunque, separa l’Italia dall’essere di nuovo in guerra in Iraq, anche se la foglia di fico dell’esserci, ma non esserci davvero perché non si spara, è striminzita. Però, mentre l’Italia s’appresta a bombardare in Iraq, si alzano i toni per la Siria tra la Nato e Mosca.

Il che spiega pure la scelta italiana. Perché in Iraq sì e in Siria no? “Innanzi tutto – spiega il generale Arpino - è questione di legittimità: il governo iracheno chiede a tutta la coalizione di bombardare l’Isis, mentre la Siria lo ha chiesto solo ai russi. Secondo, perché in Iraq la situazione sul terreno è molto più chiara. Quindi eventuali errori – sempre possibili - sono assai meno probabili”.

E, infatti, le tensioni sono sulla Siria, non sull’Iraq. Un po’ perché lì è mucchio selvaggio, che non sai su chi tiri: ci sono più fazioni in lotta, i lealisti, i moderati, al Nusra, gli jihadisti, i curdi; e le posizioni sul terreno non sono sempre ben delineate, E un po’ perché lì c’è al-Assad, il presidente: gli occidentali vogliono che se ne vada; i russi (e gli iraniani) vogliono che resti o che, almeno, partecipi alla transizione e sostengono che il collasso dello Stato avrebbe conseguenze peggiori che in Libia.

Ieri, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, s’è detto convinto che gli sconfinamenti dei Mig russi in territorio turco "non siano casuali". Per Stoltenberg, c’è stato un sostanziale incremento di forze russe in Siria, di terra e anche navali nel Mediterraneo.

L’agenda dei lavori della riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza giovedì a Bruxelles è stata modificata, per estenderla agli sviluppi in Siria, specie alle violazioni dello spazio aereo turco. Ankara non cela l’irritazione: ieri, il governo turco ha denunciato la seconda violazione in tre giorni del suo spazio aereo da parte di aerei militari russi. Il presidente Erdogan, in campagna elettorale, esibisce fermezza e avverte che la Russia "rischia di perdere la nostra amicizia”; i vertici militari vanno oltre, “è guerra”. Come premio di consolazione, Ankara incassa buona parte dei fondi Ue destinati all’emergenza rifugiati siriani.

Mosca, in realtà, smentisce operazioni di terra in Siria, in atto o in programma; e sostiene di volere impedire i suoi cittadini di "recarsi a combattere in Siria, sull'uno e sull'altro fronte". Non sarebbe solo un problema di ‘foreign fighters’: da giorni circolano voci di volontari russi impegnati a fianco delle forze regolari siriane.

Per evitare incidenti nei cieli, Usa e Russia studiano modalità di cooperazione tra le loro rispettive forze aeree: scambi d’informazione su orari, rotte, obiettivi. Ma Washington e Mosca si stuzzicano: secondo Anatoli Antonov, vice-ministro della Difesa russo, gli americani limitano la cooperazione “solo alle questioni tecniche di interazione dei piloti durante l'esecuzione delle missioni". E invece il capo del Pentagono Ash Carter accusa la Russia di disertare i colloqui di coordinamento. E Mosca rilancia: non intende partecipare a operazioni della coalizione internazionale a guida Usa contro l'Isis finché questa non avrà il consenso di Damasco e del Consiglio di Sicurezza Onu.

Però la Russia è pronta a valutare l'estensione dei bombardamenti contro l'Isis all'Iraq, se lo chiede Baghdad, mentre smentisce le voci di bombardamenti su Palmira; e liquida come “propaganda” le notizie sulle vittime civili causate dai raid, che anche ieri sono stati oltre 20.

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