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venerdì 9 dicembre 2011

Crisi: Ue, Vertice, inizio da sudori freddi (forse, solo tattica)

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 09/12/2011

Sono da sudori freddi, le ultime battute prima del Vertice di Bruxelles, che tutti indicano come decisivo per il futuro dell’Ue e la sopravvivenza dell’euro presi nel vortice della crisi del debito. Dichiarazioni pessimistiche o oltranziste dei leader europei, mercati a picco, dall’America raffiche d’inviti a fare in fretta. Facciamoci pure un po’ la tara perché, quando ci si siede al tavolo delle trattative, si tengono sempre le carte in mano e s’alza la posta. Ma lo scenario di grande incertezza del Consiglio europeo non induce certo all’ottimismo: persino il programma è incerto, al di là della cena d’apertura: discussioni nella notte a 27?, o a 17?, o confessionali?;e, oggi, conclusione dei lavori a metà giornata?, o prosecuzione ad oltranza?, o riconvocazione a breve, prima della fine dell’anno?

Paradossalmente, l’unico punto sicuro è la firma del trattato di adesione all’Ue della Croazia: l’Unione cresce ancora, proprio mentre rischia di frantumarsi. Fuori c’è una domanda d’Europa cui, dentro, non corrisponde una volontà d’Europa. Ad alimentare dubbi e timori, la mancanza di una bozza di dichiarazione finale credibile su cui discutere, cioè di un testo di riferimento accettato come base del negoziato: quello preparato da eurocrati e diplomatici è acqua fresca; e quella concordata, lunedì, a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel è una proposta di massima, anche se la trattativa finirà per articolarsi intorno a essa. Su questo sfondo, le parole del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso (“Il vertice dimostri l’irreversibilità dell’euro”) suonano solo auspicio.

Proprio Sarkozy, che giunge a Bruxelles scuro in volto, dà il tono alla vigilia, con dichiarazioni pesanti: senza un’intesa, non ci sarà una seconda occasione per rifondare l’Unione. Sarkozy aveva già parlato di “rischio di esplosione dell’euro e di dissoluzione dell’Ue, senza riforma del Trattato”. La Merkel è più positiva, ma non meno rigida sulle sue posizioni: troveremo una buona soluzione, sono convinta che ce la faremo. Fuori dai giochi, come sempre, il premier britannico David Cameron, che il presidente del Consiglio Mario Monti vede prima della cena: Londra è pronta a mettere il veto, anche se, a ben guardare, l’opzione 2 del duo Merkozy, accordo a 17 e non a 27, lo lascerebbe ai margini. Ma l’Olanda ricorda che l’Unione è a 27, non a 17, e molti hanno riserve a imboccare la via della doppia velocità. Invece, il premier lussemburghese, e presidente dell’eurogruppo, Jean-Claude Juncker, giudica migliore un’intesa a 17 che una più ampia.

Il Vertice del Ppe, a Marsiglia, che precede l’appuntamento di Bruxelles, non è un buon viatico. Neppure lì c’è accordo: l’ex premier italiano Silvio Berlusconi lo constata, dicendo che la “situazione è grave”, senza, poi, esimersi dall’affermare che “l’Italia è un Paese che sta bene”.

L’idea che gira e che Parigi e Berlino portano avanti è quella di una riforma del Trattato di Lisbona, da fare entro marzo, in tempi strettissimi per i riti comunitari, che renda vincolante il rispetto delle regole sul debito e automatiche le sanzioni a chi ‘sgarra’. Ma il giro di vite non è, per ora, accompagnato da sforzi di solidarietà, al di là del rafforzamento del fondo salva Stati, né da un allentamento dei freni agli interventi sui mercati della Bce, né dal varo degli eurobonds. Se i Merkozy saranno ascoltati, l’Ue, o l’eurozona, farà passi avanti verso una migliore governance economico-finanziaria, ma l’euro resterà una moneta senza un referente politico ed economico.

C’è una banca, la Bce, che però non ha tutti i poteri di una banca centrale statale. Mario Draghi, presidente da poco più di un mese, prova a migliorare il clima dei mercati, riducendo, per la seconda volta consecutiva, il tasso d’interesse principale: ora è all’1%, il minimo di sempre. Ma, mentre sollecita i governi a lavorare per “ripristinare la fiducia” e a stringere “un patto sul bilancio” e rifiuta l’ipotesi di una fine dell’euro, Draghi deve constatare che i mercati non reagiscono alla sua decisione: le borse, dopo una buona apertura, chiudono in forte caso (Milano a -4,29%) e lo spread italiano torna ad allargarsi oltre quota 400. E ciò nonostante S&P faccia un po’ marcia indietro sulla minaccia di declassamento dell’eurozona (“Non ci sarà un’esplosione dell’euro”) et Fitch allenti la tensione sul rating e dia più credibilità all’Italia. L’Autorità bancaria europea, l'Eba, peggiora il quadro in serata stimando che le banche europee hanno un fabbisogno di capitale di quasi 115 miliardi di euro (le italiane 15,4).

Il governo Monti e la sua manovra continuano a ricevere, a livello internazionale, echi positivi: Draghi avalla le misure prese, ma chiede uno sforzo per la crescita; e il segretario al tesoro Usa Timothy Geithner, che incontra Monti a Milano, esprime sostegno e fiducia negli sforzi dell’Italia, dopo avere girato l’Europa elogiando il piano franco-tedesco e ripetendo che “l’euro ce la farà”. Lo dice pure Hillary Clinton e lo auspica Barack Obama. I leader dell’Ue, chiusi al Justus Lipsius, affrontano la trattativa più difficile dei 18 anni dell’Unione e dei 10 dell’euro.

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