Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/12/2011
L’Italia e la Libia si rigiocano la carta del Trattato d’Amicizia: adesso, sono pronte a ‘riattivare’ il patto firmato nell’agosto 2008 da Gheddafi e Berlusconi, poi sospeso, con una dichiarazione unilaterale italiana, durante la rivolta in Libia e quindi ripristinato, sempre a parole, a regime (di Gheddafi) rovesciato e conflitto finito. Anche questa volta, parole sono: la volontà emerge dall’incontro, ieri, a Roma, tra il presidente del Consiglio italiano Mario Monti e il presidente del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) libico Mustafa Abdel Jalil. Tutto, pare, a costo zero: nessun cenno a passaggi da rinegoziare, come ventilato alla vigilia da parte libica.
Abdel Jalil è stato pure ricevuto al Quirinale dal presidente Giorgio Napolitano. Negli incontri, il leader libico ha persino ringraziato l’ex premier Berlusconi e il suo governo che –ha detto- “fin dall’inizio hanno sostenuto in modo determinante” l’insurrezione anti-Gheddafi. C’è da chiedersi fin dove la “nuova Libia” sia sincera. Monti farà una visita a Tripoli in gennaio: l’Italia sta cercando di confermarsi principale partner commerciale della sua ex colonia.
“Abbiamo deciso –ha detto Monti, a colloqui conclusi- di riattivare il Trattato e abbiamo esaminato come concentrarci sulle priorità della nuova Libia”. Per Abdel Jalil, la riattivazione degli accordi “è nell’interesse
dei due Paesi”. Il patto prevedeva, fra l’altro, investimenti italiani in Libia per cinque miliardi di dollari, ricavati da un’addizionale d’imposta a carico dell’Eni, beneficiaria di grossi contratti energetici libici, come compensazione per il periodo coloniale. Dal canto suo, il regime di Tripoli aveva messo sotto stretto controllo la partenza di immigrati verso l’Italia dalle proprie coste.
L’intreccio di interessi fra i due Paesi è fittissimo: energetici, ma anche finanziari. L’Italia intende “sbloccare con la massima velocità possibile i fondi libici congelati” sul territorio italiano, dove il regime di Gheddafi aveva investito somme importanti in grandi aziende, e ha già liberato 600 milioni di euro (la Francia, mercoledì, aveva annunciato lo sblocco di quasi 300 milioni). Non è una coincidenza che proprio oggi l’assemblea di Unicredit, che ha deciso un aumento di capitale, abbia confermato le quote dei soci libici: la Banca Centrale libica ha il 4,98%, la Lybian Investment Authority il 2,59%; la loro partecipazione all’aumento del capitale, che era subordinata allo scongelamento dei fondi, sarà pari a 375 milioni di euro.
Come segnali di normalizzazione della situazione, Abdel Jalil ha citato il ripristino al 70% della produzione di petrolio in Libia e ha insistito sulla volontà di evitare vendette, in uno spirito di riconciliazione nazionale. Il capo del Cnt non ha escluso ulteriori crediti a imprese italiane “se legittimi”.
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