Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/12/2011
Un anno fa, i copti in Egitto e i cristiani di Nigeria. Ora, ancora i cristiani in Nigeria. Le feste di fine anno, dalla forte impronta cristiana, tra i riti del Natale e dell’Epifania, sono una volta di più l’occasione di stragi di credenti. Ma, nel 2001, gli attacchi ai cristiani hanno segnato le cronache dall’India al Pakistan, nel Mondo arabo e nel Sud delle Filippine, ennesima testimonianza dei rischi dell’intolleranza religiosa.
Se gli assalti ai copti in Egitto finirono con l’essere uno degli incubatoi della primavera araba, le bombe in Nigeria fanno finire sotto accusa il potere: Muhammadu Buhari, un ex leader militare, che in aprile perse le elezioni contro il presidente uscente GoodLuck Jonathan, chiama pubblicamente in causa i governanti, che non hanno –sostiene- la competenza necessaria a garantire la sicurezza nel Paese e che reagiscono con lentezza alle azioni dei terroristi.
Gli attacchi di Natale in Nigeria –cinque, tre contro chiese- sono stati condotti da militanti islamici e hanno ucciso una quarantina di persone. A rivendicarli, è stato il gruppo islamico Boko Haram, che mira ad imporre la legge della sharia, cioè la legge islamica, nel più popoloso Paese africano (oltre 140 milioni di abitanti): per la comunità cristiana, è il secondo Natale di sangue consecutivo denso di lutti e sofferenze.
Le forze di sicurezza nigeriane considerano, inoltre, Boko Haram responsabile di altri attentati nel Nord del paese: c’è il timore che il gruppo islamico stia cercando di innescare una guerra civile settaria in un Paese nettamente diviso tra cristiani (quasi il 40%) e musulmani (43%), ma dove le due comunità riescono, in genere, a coesistere in pace.
Dietro gli attacchi di Buhari, un uomo del nord, a Jonathan, un cristiano del sud, ci sono, certo, anche contrasti politici ed etnico-tribali. Ma che il potere sia in difficoltà appare evidente dall’impacciata reazione del presidente agli attacchi terroristici, definiti “incresciosi” e “ingiustificati”: Boko Haram –dice Jonathan, che ordina un’inchiesta- “non esisterà per sempre ... un giorno, cesserà di esserci”. Campa cavallo; e intanto becchiamoci le bombe. Anzi, che se le becchino i cristiani che vanno in chiesa per Natale.
Di ben altro tono le reazioni del Vaticano e della comunità internazionale. All’Angelus, papa Benedetto XVI esprime il proprio dolore per “un gesto assurdo” e afferma che i cristiani nel Mondo sono “esposti al martirio e alle persecuzioni”. Il pontefice, che ha sempre condannato il ricorso alla violenza in nome di dio, chiede che tutti cooperino per ritrovare “sicurezza e serenità”. Parole di deprecazione anche dall’Onu, dagli Usa e dall’Ue: lady Ashley, ‘ministro degli esteri’ europeo, è “turbata e rattristata”.
Gli attacchi di Natale –una bomba in una chiesa vicino ad Abuja, la capitale, ha fatto 27 vittime- hanno seguito di pochi giorni una serie di scontri tra forze di sicurezza ed elementi di Boko Haram, che avrebbero provocato una settantina di morti. Il bilancio complessivo di questo picco di sangue e violenza sfiora, dunque, le 110 vittime.
Le cronache indicano che i terroristi hanno strategia d’azione e capacità di coordinazione, quanto basta per creare allarme ad Abuja, ma anche nella comunità internazionale. L’episodio più grave s’è verificato a Madala, circa 40 chilometri da Abuja, dove è stata attaccata la chiesa cattolica di Santa Teresa. Poche ore dopo, sempre nel giorno di Natale, ci sono state esplosioni a Jos, nel centro del Paese, e a Gadaka, nel nord. Nel nord-est, invece, a Damaturu, un attacco suicida ha ucciso quattro funzionari durante una cerimonia civile; e, dopo, ci sarebbero stati saccheggi e incendi di negozi cristiani.
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