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giovedì 10 dicembre 2015

Siria: Usa e Russia, "Siamo in guerra", "Noi di più"

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/12/2015

Contro il Califfo, è corsa a chi è più in guerra degli altri: per ora, a bombe dal cielo e parole – i russi ci mettono pure qualche carro un po’ di truppe, gli americani centinaia d’istruttori e squadre d’incursori-. E se Putin squarcia il velo sull’ipotesi –finora mai evocata- dell’arma nucleare (“Spero non la si debba usare”, dice), Obama manda il segretario alla difesa Ashley Carter a tirare la giacca al Congresso: "La verità è che siamo in guerra".

Carter riferisce ai parlamentari sulla strategia dell’Amministrazione contro il sedicente Stato islamico: riconosce lo stato di guerra, sollecita la Russia a stare "dalla parte giusta" nella lotta contro le milizie jihadiste (cioè, non troppo dalla parte di Assad); e chiede un maggiore impegno alle monarchie sunnite del Golfo, alleati non sempre coerenti.

Il discorso del capo del Pentagono serve a irrobustire il messaggio, non proprio marziale, contenuto nel messaggio alla Nazione pronunciato dal presidente domenica sera ed a sottrarre un po’ d’attenzione all’alleato/rivale Putin, che non le manda a dire né al Califfo né ad Erdogan (e neppure alla Casa Bianca).

Intanto un’agenzia di stampa iraniana, la Fars, afferma che il Califfo al-Baghdadi sarebbe riparato alla Sirte, la roccaforte jihadista in Libia, dopo essere stato curato delle ferite subite in Turchia: di che allungare la lista dei comportamenti ambigui rinfacciati dalla Russia, e non solo, al regime di Erdogan, anche se l’affermazione non trova al momento riscontro – al-Baghdadi è stato dato a più riprese per ferito o addirittura per morto, né la Sirte appare più sicura di Mosul-.

Sul piano militare, la Russia, che da domani sarà parte dell’esercizio di diplomazia mediterranea organizzato a Roma, è in piena escalation: conferma per la prima volta d’avere centrato obiettivi nella capitale del Califfato in Siria, Raqqa, con missili lanciati da un sottomarino nel Mediterraneo; ed evoca, ai massimi livelli, il ricorso all’atomica. Il presidente Putin si augura che i missili russi non debbano mai essere armati con testate nucleari; e il ministro degli Esteri Lavrov smussa: "Non c'è necessità di usare l’atomica contro gli jihadisti: ce la possiamo cavare con le armi convenzionali, cosa che corrisponde a pieno alla nostra dottrina militare" fondata sulla superiorità convenzionale. Quella americana, invece, si basa sul non escludere mai a priori nessuna opzione.

Mosca da settimane sta rafforzando il dispositivo militare nell’area di guerra. I missili Calibre lanciati contro Raqqa sono armi duali "di precisione nuova, moderna e altamente efficiente": avrebbero distrutto un deposito di munizioni, una fabbrica di mine e infrastrutture petrolifere, partendo dal Rostov sul Don, un sottomarino di ultima generazione della classe Varshavyanka, bassissima emissione di rumore e tecnologia ‘stealth’ avanzata.

Sul fronte diplomatico, resta viva la polemica tra Mosca e Ankara, che accusa la Russia di volere compiere "una pulizia etnica" nella provincia siriana settentrionale di Latakia: "espellerne" turcomanni e sunniti, ostili ad Assad, così da “proteggere il regime e le proprie basi".

Sul fronte politico, infine, s’è aperta oggi a Riad una riunione della composita opposizione interna siriana, in vista di negoziati con il regime. Le posizioni restano divergenti e appaiono difficilmente conciliabili.

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