Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/08/2010
I colloqui diretti tra israeliani e palestinesi riprenderanno a Washington il 2 settembre: quel giorno, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen s’incontreranno alla Casa Bianca su invito del presidente statunitense Barack Obama. Anticipato dal New York Times, l’annuncio è stato ufficializzato dal segretario di Stato Usa Hillary Rodham Clinton, mentre il Quartetto formato da Onu, Usa, Russia e Ue, che segue le trattative di pace per il Medio Oriente, diramava un comunicato che avalla e inquadra l’iniziativa diplomatica. A Washington il 2 settembre ci saranno pure i leader d’Egitto e Giordania e, per il Quartetto, l’ex premier britannico Tony Blair.
Il passo è importante, anche se il successo della ‘ripartenza’ è difficile da prevedere. L’obiettivo è quello di definire lo status finale dei rapporti tra Israele e la Palestina nel giro di un anno. Però, di impegni del genere sono pieni i cassetti dei negoziati mediorientali. L’ultima volta fu nell’autunno del 2007, quando il presidente George w. Bush, al tramonto del doppio mandato alla Casa Bianca, organizzò ad Annapolis un vertice che doveva preludere ad accordi di pace nel giro di un anno. Ma un anno dopo non se ne fece nulla, anche perché, nel frattempo, e lo si sapeva fin dall’inizio, un altro presidente degli Stati Uniti era già stato eletto.
Questa volta, la ripresa di colloqui diretti tra israeliani e palestinesi avviene dopo uno stop di 20 mesi e a ben 17 anni dalla firma degli accordi di Washington patrocinati da Bill Clinton, con la stretta di mano, foriera di speranze rimaste irrealizzate, tra il premier israeliano Izthak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat. Lo sviluppo rappresenta, di per sé, "una piccola vittoria" – lo dice il NYT -del presidente Obama e dei suoi sforzi di rivitalizzare il processo di pace in Medio Oriente, finora senza esito. Anzi, dopo il discorso dal Cairo al Mondo arabo nel giugno 2009, non s’è quasi mossa foglia su quel fronte. E l’Amministrazione statunitense ha anche incassato qualche smacco diplomatico dal governo Netanyahu.
Il presidente potrà fare forse valere lo sblocco delle trattative nella imminente campagna per il voto di midterm del 2 novembre, quando potrà anche mettere in campo, sul fronte esteri, il rispetto dell’impegno a ritirare le truppe da combattimento dall’Iraq entro il 31 agosto e il completamento dell’invio di rinforzi al contingente in Afghanistan, nella prospettiva, aleatoria, di iniziarne il ritiro nell’estate prossima.
Le reazioni all’annuncio, pur non unanimi, sono in linea di massima ritualmente positive e scontatamente ottimiste. Nel comunicato diffuso dalle Nazioni Unite, il Quartetto si dice convinto che i negoziati possano concludersi in modo positivo nei tempi previsti. E il negoziatore Usa George Mitchell è certo di potercela fare, nonostante "ci siano persone che non ci credono, che non lo vogliono e che si stanno muovendo perché non accada". L’Unione europea invita a lavorare “tanto e in fretta”, il ministro degli esteri italiano Franco Frattini parla di “sviluppi molto positivi”.
Dalla Palestina, Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e che è in polemica con Abu Mazen, ribadisce che, a suo giudizio, le trattative non servono a nulla, mentre la Lega Araba rivendica un ruolo nel processo di pace. Nella serata di ieri, il comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha discusso a Ramallah i prossimi passi.
L’obiettivo dei negoziati indicato dal Quartetto è di porre un termine all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, che risale al 1967, e di creare uno Stato palestinese indipendente contiguo a Israele. Onu, Usa, Russia e Ue invitano le parti a evitare ogni provocazione durante le trattative e richiama suoi precedenti comunicati. In quello da Mosca di marzo, il Quartetto chiedeva a Israele di cessare le attività di colonizzazione del Territori.
I negoziati diretti, sospesi dal dicembre 2009, cioè dal fallimento del processo di Annapolis, devono affrontare argomenti delicati, come lo statuto di Gerusalemme, le frontiere e il diritto al ritorno nelle proprie case dei rifugiati palestinesi. Nella primavera scorsa, dopo una falsa partenza a marzo, trattative indirette fra israeliani e palestinesi furono avviate grazie alla mediazione di Mitchell, senza però segnare a tutt’oggi alcun progresso, fino all’annuncio odierno.
I palestinesi dubitano che Netanyahu voglia ritirarsi dai Territori, specie da Gerusalemme Est, che loro vorrebbero fosse la capitale del loro Stato. Israele non vuole condizioni preliminari e, per ora, non s’impegna neppure a protrarre il gelo parziale della colonizzazione oltre settembre.
sabato 21 agosto 2010
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