Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/08/2010
“L’avvenire della Serbia è nell’Unione europea, quello del Kosovo pure”: così, Lady Ashton, impalpabile ‘ministro degli esteri’ europeo, aveva commentato il parere della Corte di Giustizia dell’Onu che il 22 luglio valutava legittima la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia. Ma, prima di progettare l’adesione, i 27 devono almeno concordare una linea d’azione comune nei confronti del Kosovo indipendente: cinque di essi, infatti, ancora non lo riconoscono, Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro.
La sentenza dell’Aja inciderà sulle dinamiche dell’allargamento balcanico dell’Unione europea. Se, nel primo decennio del XXI Secolo, l’ampliamento dell’Ue da 15 a 27 Paesi era forse inevitabile, dopo l’affrancamento dell’Europa orientale dai vincoli sovietico e comunista, ma è comunque servito a stemperare i processi di approfondimento dell’integrazione, in una fase d’appannamento dell’europeismo, ora, negli Anni Dieci, il completamento dell’Unione con i Balcani è necessario, per non lasciare turbolente asimmetrie in una Regione storicamente a rischio costante.
A processo completato, i confini dell’Ue a Est si stabilizzeranno lungo le frontiere dell’Ucraina, dove gli sviluppi politici interni frenano la spinta all’adesione, della Bielorussia e della Russia, mentre a Sud il Mediterraneo separa e nel contempo unisce l’Unione a Medio Oriente e Nord Africa. In un’intervista al settimanale di Belgrado, Vreme, Tempo, il ministro degli esteri italiano Franco Frattini definisce la piena integrazione “un obiettivo europeo comune”. E Piero Fassino, presentando un rapporto all’Assemblea parlamentare dell’Unione europea occidentale, l’Ueo, delinea le tappe del processo: concludere entro l’anno i negoziati con la Croazia, avviarli con la Macedonia; consolidare l’unità statale della Bosnia; riconoscere lo status di candidato a Serbia, Montenegro, Albania –e, ora che l’indipendenza è stata avallata, Kosovo- ... Se l’integrazione dei Balcani nell’Ue non viene completata, “c’è il rischio che la Regione, dove la pace è ancora garantita dalla presenza di truppe internazionali, regredisca”. Ma c’è pure chi frena: l’analista Enrico Jacchia, del Centro Studi Strategici, suggerisce “una pausa di riflessione”: l’allargamento è –dice- “una vocazione politica generosa”, ma il rinvio di ulteriori adesioni “potrebbe essere una misura di buon senso”, nell’attesa che “si allentino i problemi che stringono al collo l’Europa, dall’euro all’assetto Ue economico e politico”.
Indipendentemente dai calendari che possano riguardare Kosovo e Serbia, l’allargamento balcanico resta alto nell’agenda dell’Ue, senza tacere la perenne incognita Turchia e la sorpresa Islanda, l’ultima a bussare alle porte dell’Unione, dopo la crisi che ne ha sconvolto il sistema finanziario, ma che potrebbe correre su una corsia preferenziale, balene permettendo. Il 7 luglio, il Parlamento di Strasburgo ha formalmente avallato la richiesta d’adesione, ma ha chiesto al governo di Reykjavik d’imporre uno stop alla caccia alle balene, incompatibile con le norme dell’Ue. Nel dibattito sono pure emerse preoccupazioni per la mancanza di entusiasmo degli islandesi verso l’Unione, che stride con la fretta delle autorità, che vorrebbero completare il percorso entro la fine del 2011 o l’inizio del 2012. Ma la mancanza di entusiasmo islandese è, forse, il male minore di questa Europa che non è capace di motivare ed entusiasmare i propri cittadini.
Pochi giorni dopo, il 12 luglio, a Istanbul, la Ashton e il commissario all’allargamento Stefan Fuele confermavano l’attenzione alla prospettiva di adesione della Turchia all’Ue, anche se Ankara è oggi meno insistente nel chiederla, mentre l’economia e l’opinione pubblica turche sembrano quasi essersi assuefatte all’idea che l’Europa non rispetterà mai impegni e promesse.
Al momento di assumere la presidenza di turno del Consiglio dei ministri dei 27, ai primi di luglio, il Belgio ha espresso l’intenzione di far avanzare, entro fine anno, le trattative di adesione in corso con la Croazia –gli ultimi tre capitoli di negoziato sono stati aperti a giugno-, con la Turchia –13 su 35 i capitoli aperti- e con l’Islanda.
Per i Balcani, l’occasione di scadenzare gli appuntamenti era stata offerta, in giugno, dalla riunione ad alto livello svoltasi a Sarajevo, mentre l’Unione era ancora alle prese con la debolezza dell’euro innescata dalla crisi greca. La Croazia è ben avanzata nella trattativa e potrebbe entrare nel 2012, magari insieme all’Islanda –salvo sorpassi-. Per Bosnia, Montenegro, Serbia, Macedonia, Albania e Kosovo le prospettive sono meno nitide, perché i Paesi devono ancora adeguarsi agli standard dell’Ue nella realizzazione dello Stato di diritto e nella riforma del sistema giudiziario, nel rispetto della libertà di stampa, nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Tuttavia, passi avanti lungo la ‘road map’ d’avvicinamento sono stati fatti: Serbia, Montenegro e Macedonia sono dal dicembre 2009 nell’area Schengen per quanto riguarda i visti e Albania e Bosnia potrebbero presto entrarci. E a novembre la Commissione darà il parere sulla candidatura del Montenegro.
Certo, il traguardo simbolico che tutti i Balcani siano nell’Unione entro il 2014, cioè cent’anni dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, innescato dall’assassinio a Sarajevo del GranDuca d’Austria, non è facile da centrare. Ma Fuele garantisce che l’Ue “non è apatica” sull’ampliamento, anche se può avere altre priorità. Le conclusioni della conferenza di Sarajevo confermano che l’allargamento balcanico resta un obiettivo comune da perseguire senza vincoli reciproci: i progressi verso l’Unione saranno ‘nazionali’ e i negoziati con un Paese non dovranno essere condizionati dall’andamento delle trattative con altri. Un modo per evitare il gioco dei veti e delle zeppe.
venerdì 27 agosto 2010
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