Farnesina, batti un colpo. Anzi, batti un pugno sul tavolo.
Dei kazaki. Ma anche del governo, ché, su questa brutta storia di Alma e della
sua bambina t’hanno detto ‘buona’ e tu ‘stai a cuccia’. Non che serva a
qualcosa, ché, adesso che le abbiamo espulse, o le abbiamo consegnate che dir
si voglia, mica le fanno tornare. Ma, almeno, ti fai sentire; e, magari,
rispettare un po’ di più.
Sul caso Ablyazov, che cosa potevano fare Emma Bonino e il
Ministero? Nulla di decisivo, almeno per riportare in Italia Alma Shalabayeva e
la figlia Alua. Ma qualche gesto forte si poteva provare: convocare prima
l’ambasciatore kazako a Roma, senza aspettare che fosse in vacanza; richiamare
per consultazioni l’ambasciatore d’Italia ad Astana, che pure avrebbe forse
potuto riferire dell’agitazione che si stava creando - ammesso che non se ne sia
accorto -; dichiarare persona non grata l’ambasciatore Yelemessov, gesto quasi
estremo nelle ritualità diplomatiche; e, da ultimo, di sicuro impatto almeno
mediatico, andare ad Astana, come, giovedì, nel dibattito in Parlamento, Arturo
Scotto, capogruppo Sel in commissione Esteri, ha suggerito alla Bonino.
Invece, da Alma il ministro ha mandato un funzionario
dell’ambasciata in Kazakhstan, facendo poi sapere –è un comunicato di venerdì,
quasi surreale- che la donna “sta bene” e ringrazia l'Italia “per il suo
sostegno”: “con la figlia, ha piena libertà di movimento in città e ha accesso
a internet”.
Emma Bonino è una donna energica, che di solito vuole fare
la cosa giusta e la fa. Da commissaria dell’Ue, non esitò, appena insediata, ad
affrontare con fermezza una guerra della pesca col Canada; e non si fece intimidire
dai talebani andando a difendere i diritti delle donne in Afghanistan. Però, da
quando è ministro degli esteri, sembra contagiata dalla “letargia” che la
stampa estera rimprovera al Governo Letta nel suo insieme. Commentando il caso
Ablyazov giovedì sera, alla Festa dell’Unità di Roma, Massimo D’Alema, un ex
ministro degli esteri, teneva ben distinta la Bonino da Alfano, ma diceva:
“Alla Bonino vogliamo bene, ma mi domando in quale letargo si trovasse la Farnesina"
quando i diplomatici kazaki dettavano legge al Ministero dell’Interno.
Perché, sul caso Ablyazov, il Ministero degli Esteri e lo
stesso ministro sono stati a lungo assenti, o molto discreti. Quando la bufera
era già scoppiata, la Bonino è parsa a tratti più concentrata sull’ordinaria
amministrazione del suo ruolo che sulla vicenda kazaka, che ha pesanti
implicazioni diplomatiche ed umanitarie. Com’è stata poco incisiva su altri
casi caldi di questi giorni, il destino di Edward Snowden, la talpa del
Datagate, o il ritorno da Panama negli Stati Uniti, senza neppure valutare il
fondamento della richiesta d’estradizione dell’Italia, di Robert Seldon Lady,
Mister Bob, il capo centro Cia a Milano ai tempi del sequestro dell’imam Abu
Omar, condannato a nove anni e in via definitiva dalla Cassazione.
Viene da pensare che, su questi temi, la Bonino sarebbe
stata più combattiva e in prima linea se non fosse stata ministro, quasi che
avverta le pastoie del ruolo e delle larghe intese. In diplomazia, è vero, si
opera meglio in silenzio e nell’ombra che parlando e alla luce del sole. Però,
vediamo i fatti. Su Snowden, l’Italia ha negato come altri l’asilo
–legittimamente, perché la talpa del Datagate non rispetta le procedure- e ha
chiuso come altri lo spazio aereo al velivolo dell’ambasciatore boliviano Evo
Morales, perché gli Usa pensavano ci fosse a bordo l’ex analista dell’Nsa. E, su
‘Mister Bob’, la Farnesina ha subito “preso atto” e dichiarato “rispetto” della
decisione di Panama di farlo ripartire per gli Usa. Intendiamoci, non c’era
probabilmente modo di cambiare le cose, ma non c’era neppure bisogno di
mostrare tanta rassegnazione.
Sul caso Ablyazov, la Bonino non ha preso nessuna iniziativa
forte, a parte la convocazione – solo mercoledì
17 luglio – dell'incaricato d'affari Manaliyev, in assenza dell'ambasciatore Yelemessov.
Lì, le parole sono state chiare: il ministro ha manifestato “sorpresa e
disappunto” per “l’irrituale azione” ambasciatore kazako, perché, in una
vicenda così delicata, “anche sotto il profilo internazionale”, "i
rappresentanti diplomatici kazaki non hanno mai interessato la Farnesina".
Irrituale, ma, dal loro punto di vista, efficace: al Viminale, ottenevano tutto
quel che volevano; perché complicarsi le cose chiamando in causa la Farnesina?
Magari, a tu per tu con Letta e con Alfano, la Bonino le
avrà pure cantate chiare, ma il silenzio, dopo il colloquio sul palco della
sfilata del 2 giugno, non è da lei. Non che sia rimasta inattiva, però: le
cronache riferiscono che la Bonino ha offerto un Iftar, cioè una cena di
Ramadan, ai capi delegazione a Roma di 42 Paesi musulmani; che è stata in
Ungheria –ma soprattutto per incontrarvi il ministro degli esteri indiano e
parlargli dei marò, altra nota dolente-; che ha ricevuto il premier eletto
albanese Edi Rama; e che, ieri e oggi, a Palma di Maiorca, è stata al Gruppo
Westerwelle, club informale dei ministri degli esteri di 17 Paesi Ue, dove si
discutono gli sviluppi dell’Unione.
Attività tutte pertinenti. Ma non incisive là dove ci
s’aspettava. Poco aiuto all’Italia è finora venuto anche dall’Ue. Funzionari
della Commissione europea hanno preso contatti con le autorità kazake, ma il
presidente Barroso non è intervenuto di persona. E la Bonino ha pure coinvolto il
presidente di turno del Consiglio dell'Unione, il lituano Linas Linkevicius.
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