Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/03/2014
Dopo tutti i moniti che avevano preceduto il referendum in
Crimea, uno poteva aspettarsi che Usa e Ue colpissero la Russia con un pugno
d’acciaio, pur nel guanto di velluto della diplomazia. Invece, il pugno è un
buffetto: americani ed europei decidono sanzioni “mirate” contro esponenti
russi ed ucraini filo-russi, ma stanno bene attenti a non toccare il presidente
russo Vladimir Putin.
Annunciate quasi in contemporanea, le misure, presentate come
“un messaggio forte”, riguardano, lato americano, 11 persone i cui beni vengono
congelati. Fra di esse, il presidente ucraino deposto Ianucovich e un suo
collaboratore e due leader della Crimea filo-russa; e pure alcune figure vicine
al presidente Putin, ad esempio il vice-premier Dmitri Rogozin.
Lato europeo, i ministri degli esteri dei 28, riuniti a
Bruxelles, privano di visto per sei mesi, rinnovabili, 21 personalità russe e
ucraine filo-russe, e ne congelano i beni. Nel gruppo, tre militari con il
comandante della flotta russa del Mar Nero.
Per quanto modeste, le sanzioni sono un inedito nella storia
recente delle relazioni Ue-Russia, dopo lo smembramento dell’Urss nel
1991. Nessuno, però, s’aspetta che le
misure inducano Putin a fare marcia indietro. Anzi, Washington e Bruxelles
avvertono già che il peggio deve ancora venire, se la Russia non ci ripensa.
Però, tutti sono convinti che non sia troppo tardi per una
soluzione politica e negoziale. Il ministro degli esteri italiano Federica
Mogherini dice che la porta al dialogo “resta aperta”. Il francese Laurent
Fabius afferma: “Bisogna fare prova di molta fermezza, ma, nel contempo,
trovare le vie del dialogo per evitare una escalation”.
Il punto, ora, non sono le sanzioni decise –per il momento,
avendo cura di non farsi male a vicenda. Il punto è capire se il reintegro
della Crimea è, per Mosca, una stazione d’arrivo, dopo di che aprire una fase
negoziale, o se è solo una stazione di transito verso ingerenze nell'Ucraina
orientale.
Nel primo caso, la crisi troverà, prima o poi, un punto di
equilibrio in una situazione di fatto, magari non riconosciuta, ma neppure
troppo contestata, che non impedirà a termine il ‘business as usual’ della
diplomazia e, soprattutto, degli affari.
Nel secondo caso, invece, la crisi si inasprirà con conseguenze
non prevedibili: davvero un ritorno al clima e ai modi della Guerra Fredda. Sanzioni
economiche e commerciali possono sì fare male alla Russia, specie sul piano finanziario,
con la svalutazione del rublo, ma possono anche rivelarsi un boomerang per gli
europei, che hanno una forte dipendenza dal gas russo.
Venerdì 21, la
Duma russa comincerà l’esame della legge che consentirà il
ritorno della Crimea - per Mosca, un onere economico stimato a 14 miliardi di
euro -. Lo stesso giorno, il Vertice europeo a Bruxelles valuterà nuove mosse.
E, la settimana prossima, il presidente Obama farà una missione in Europa:
altri consulti del riesumato Occidente e un vertice all’Aja delle potenze
nucleari.
Non è solo Mosca, però, a doversi fermare. Pure l’Occidente
non deve spingere troppo in là il gioco in Ucraina: la firma, venerdì,
dell’accordo di associazione -per ora un documento politico, in attesa dei
contenuti economici: in ballo, ci sono aiuti promessi per 11 miliardi di euro-
non va intesa come preludio di una precipitosa adesione; e neppure si può
pensare a un ingresso nella Nato. Prima, bisogna che l’Ucraina trovi, dopo il
voto di maggio, un equilibrio tra le sue componenti, che, dall’indipendenza,
non ha praticamente mai avuto.
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