Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/03/2012
L’ ‘exit strategy’ dall’Afghanistan degli Stati Uniti e dei loro alleati non cambia, nonostante il tragico bestiario degli orrori compiuti nelle ultime settimane dai soldati americani si sia allungato, domenica, con la strage di 17 civili, tutti donne e bambini, vicino a Kandahar. Il presidente Barack Obama è "molto preoccupato" delle possibili rappresaglie contro i militari Usa: i talebani giurano di vendicare il massacro, mentre i capi tribù lanciano appelli alla calma.
Obama è “sotto shock”, come il segretario di Stato Hillary Clinton. E il presidente afghano Hamid Karzai parla di “omicidi imperdonabili” e, per di più, “intenzionali”. Il Parlamento di Kabul chiede l’impossibile, che cioè i responsabili della strage siano processati sul territorio afghano. Possiamo già metterli tranquilli noi italiani: dal Cermis a Calipari, sappiamo benissimo che ciò non accadrà. E, infatti, il Pentagono annuncia che il militare presunto colpevole solitario –ma secondo altre versioni i responsabili sono una banda- sarà perseguito dalla giustizia americana.
Il vilipendio ai cadaveri dei nemici, urinandoci sopra, per di più in un video che finisce su youtube; poi, i corano bruciati in una base del Nord; e ora la strage nel Sud: la successione di episodi stupidi e violenti fa pensare a soldati ben al di là della crisi di nervi: le truppe, magari inconsciamente, adesso che sta per iniziare il ritiro, allentano i vincoli della disciplina e trasformano la paura in aggressività. Una risposta potrebbe essere accelerare i tempi del disimpegno, iniziarlo prima.
Ma Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, smentisce ogni ipotesi di questo genere: "I nostri obiettivi strategici –dichiara- non sono cambiati e non cambieranno", gli Usa in Afghanistan vogliono sconfiggere al Qaeda e addestrare gli afghani perché possano garantire da soli la loro stessa sicurezza.
In realtà, quel che conta è venirsene via come previsto entro il 2014 (e se fosse possibile prima). E cominciare a farlo in estate, così che il presidente possa presentarsi alle elezioni di novembre avendo chiuso la guerra in Iraq e riportato a casa di là tutti i ‘ragazzi’ e avendo iniziato a chiudere quella in Afghanistan, ormai il più lungo conflitto mai combattuto dagli Stati Uniti.
La linea di Obama trova riscontri fra gli alleati atlantici. Solo la cancelliera tedesca Angela Merkel, in missione a sorpresa fra le truppe al fronte, esprime qualche incertezza sul rispetto delle scadenze. La Nato e il premier britannico David Cameron, invece, insistono sulla necessità di restare laggiù, nonostante quel che è successo.
Il conflitto non ha prodotto democrazia e benessere, ma un Paese instabile, il cui assetto, a partire dal governo corrotto e inefficiente di Karzai, difficilmente reggerà, quando le truppe internazionali se ne saranno tutte andate.
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