Scritto per Il Fatto Quotidiano del 06/03/2012
Alzi la mano che s’aspetta che, adesso, le democrazie occidentali stendano un cordone sanitario intorno a Vladimir Putin, solo perché il neo-rieletto presidente russo è un oligarca poco rispettoso della democrazia e molto insofferente della libertà d’espressione, pure alle urne. Nessuno? Beh, meglio così, che non ci restate male a fantasticare di un isolamento internazionale della Russia, nonostante gli amici su cui Mosca può davvero contare siano alcuni impresentabili di questo mondo come l’Iran e la Siria –Teheran e Damasco si sono subito rallegrate con Putin-, le repubbliche post-sovietiche ma non troppo di Bielorussia, Ucraina, Kazakhstan e via Asia Centrale dicendo, e i post-terzomondisti del XXI Secolo alla Hugo Chavez.
La lista di quanti si sono affrettati a ratificare i risultati del voto, più in nome della real-politik che della democrazia, è lunga: senza neppure aspettare che il verdetto delle urne, netto, venga purgato delle irregolarità emerse, Stati Uniti e Unione europea, e poi singoli Paesi Ue, hanno riconosciuto l’incoronazione di ‘zar Vladi’. Come foglia di fico, i messaggi di congratulazioni sono stati velati con richieste di cambiamento della posizione della Russia sulla Siria.
E mentre la stampa americana, nei suoi commenti, evoca la fine dell’ ‘era Putin’, ipotizzando che l’onda del dissenso finisca con il prevalere, il neo-presidente al terzo mandato non esclude affatto che la sua leadership possa durare fino al 2024 –secondo solo a Stalin, nella longevità al potere della Russia post-zarista-. Con i giornalisti occidentali, Vladi si schermisce: non ha ancora pensato se ricandidarsi nel 2018. E a chi lo tratta da oligarca, cita, come esempi di continuità al vertice, Helmut Kohl e il premier canadese Jean Chrétien (e ci sarebbe pure Silvio Berlusconi, ma lui non lo evoca “perché è mio amico”).
Di nuovo al Cremlino, Putin, dunque, non patirà la solitudine del potere solo perché l’amico Silvio, nel frattempo, ha perso il posto. Lo ‘zar’ non scopa la polvere sotto il tappeto: “Di Berlusconi non ero amico, lo sono sempre”. E l’apprezzamento positivo del governo Monti arriva tramite Mr B, che gliene parla bene, “con grande rispetto”.
Washington e Bruxelles si muovono in parallelo. Tace il presidente Obama, il cui primo mandato è stato parallelo a quello di Dmitri Medvedev, che ora tornerà a fare il premier, e che con Medvedev ha ‘risettato’ le relazioni russo-americane, complicatesi nell’ultima fase delle presidenze Bush/Putin –anche lì, otto anni quasi paralleli-. Il Dipartimento di Stato invita Mosca a indagini “indipendenti” su eventuali irregolarità, dicendosi “pronto a lavorare” con Putin una volta ufficializzati i risultati.
Lady Ashton, l’etereo ‘ministro degli esteri’ europeo, “incoraggia” Mosca a “rimediare alle lacune” del sistema elettorale, ma prende, nel contempo, “nota” della “netta vittoria” del presidente russo. E il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen auspica che la cooperazione tra l’Alleanza e la Russia, specie sulla difesa anti-missile, possa essere “approfondita”.
Poco sofistico, il premier britannico David Cameron giudica il risultato del voto “decisivo”: troppo chiaro, cioè, perché i brogli possano averlo alterato. Neppure la Francia mette in dubbio l’elezione di Putin, visto già come interlocutore “per gli anni a venire”. La cancelliera tedesca Angela Merkel lo chiama per augurargli “un mandato di successo” (e per ricordargli che “Germania e Russia sono partner strategici”).
Il messaggio del presidente cinese Hu Jintao (lui, prossimo all’avvicendamento con Xi Jinping) conforta Putin, se mai ce ne fosse bisogno: Mosca non è sola nel sostegno a Siria e Iran; Pechino è pronta a raffreddare all’Onu i bollori dell’Occidente.
martedì 6 marzo 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento