Scritto per Il Fatto Quotidiano del 08/03/2012
Nani nascono e nani restano. E se Mignolo Huntsman, Pisolo Perry ed Eolo Cain si sono persi per strada, Gongolo Romney, Mammolo Santorum, Brontolo Gingrich e Dotto Paul restano in pista. Vi ricordate che, al via delle primarie, descrivevamo il campo dei repubblicani come Biancaneve e i Sette nani? Era proprio così, ma, stavolta, la storia non pare destinata al lieto fine: Biancaneve, Michelle Bachmann, suffragetta del Tea Party, è tornata nel Minnesota senza principe azzurro; e i Nani non hanno neppure la prospettiva del “vissero felici e contenti” perché alla reggia,
la Casa Bianca, non ci arriveranno.
Neppure il Super-Martedì ha dato a qualcuno di loro una statura da statisti. Romney traccheggia, vincicchia, non piazza mai un acuto dove non t’aspetti e, qualche volta, stecca. Se non lo fa lui, ci pensa sua moglie, che, forse insoddisfatta del patrimonio del marito, 200 milioni di dollari o giù di lì, va in tv a dire di non sentirsi ricca. Lei, magari, intende spiritualmente, ma l’effetto è ugualmente uno shock.
Gingrich non esce dal Sud: vince in South Carolina, rivince in Georgia, a casa sua, magari vincerà ancora in Alabama e Mississippi. Ma fuori di lì non va. Se il Super-Martedì non ha un vincitore secco, ha uno sconfitto: è lui, l’ex speaker della Camera, uno ‘zombi’ della politica, che vuole però andare avanti almeno fino al Texas.
E Paul il libertario non riesce a conquistare la prima vittoria, in questa sua campagna fotocopia, ma un po’ sbiadita, di quella 2008.
Dei quattro Nani rimasti, l’unico (un po’) più cresciuto rispetto alle prime battute è Rick Santorum, che pareva valesse due soldi di cacio e invece sta lì, vince dove deve, si piazza bene dove non te l’aspetti –in Ohio, per esempio- e va avanti “per volere del Signore”, dice lui, anzi dice la moglie Karen.
Mammolo Santorum è venuto su abbastanza da spaventare i repubblicani saggi e moderati, che temono che il partito vada a sbattere il naso contro la candidatura d’un estremista dei valori, per la famiglia e la vita, contro l’aborto, la contraccezione, i matrimoni omosessuali, e si ritrovi poi alla casella di partenza, perdendo di brutto, oltre che le presidenziali, anche le politiche –il 6 novembre, ci sarà pure il rinnovo della Camera e di un terzo del Senato-.
Controtendenza, e provocatoriamente, il New York Times scriveva, nell’imminenza del Super-Martedì, che l’affermazione di Santorum potrebbe però essere salutare per il Grand Old Party, il Gop, incapace oggi di esprimere un leader e una linea. Nell’analisi del giornale, la batosta di Santorum contro Obama spingerebbe il partito “a ricollocarsi su posizioni di centro più moderate”, senza inseguire a destra predicatori evangelici e qualunquisti populisti del Tea Party. Il ‘nuovo’ Gop potrebbe essere guidato da nomi nuovi, come il governatore del New Jersey Chris Christie, o
il senatore della Florida Marco Rubio (giunto in Campidoglio targato però Tea Party).
Se guardiamo gli Stati, se ne sono pronunciati 22 nei due mesi di queste primarie: Romney s’è imposto in 12, Santorum in sette, Gingrich in due. Se facciamo la conta dei delegati, ne sono stati già assegnati quasi 800, un terzo circa del totale. Romney è nettamente in testa: s’aggira sui 400, sui 1144 necessari per la nomination. Santorum ne ha una metà, ma ridurrebbe il distacco incamerando quelli di Gingrich, se questi si ritirerà.
In tutta l’Unione, due persone sono felici che l’incertezza si mantenga: Obama, che non deve spendere soldi per attaccare il suo rivale –ci pensano gli aspiranti alla nomination a denigrarsi fra di loro-; e Sarah Palin, che vota in Alaska senza dire chi e che non esclude nulla per il suo futuro. Candidata nel 2016? Forse. E perché no nel 2012? Se Romney e Santorum finissero in stallo, il che è possibile, magari chiamano lei a salvare, o ad affossare definitivamente, la ‘patria’ repubblicana. Non sarà Biancaneve, ma non è neppure una nana, almeno quanto a grinta
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