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martedì 22 aprile 2014

Elezioni: euro-scettici ed europeisti impenitenti

Scritto per EurActiv il 22/04/2014

A un mese o poco più dal voto europeo, il vento della campagna è cambiato: pareva la volta buona che si parlasse d’Unione e di politiche europee; invece, il tono ha già virato alle polemiche interne, cui l’integrazione offre solo pretesti. E ciò nonostante o, forse, a causa delle previsioni di ascesa, unanimi e costanti, dei partiti euro-scettici: l’ultimo studio ad analizzarne l’impatto è dell’Ecfr, The eurosceptic surge’.

A parte formule generiche e di per sé insignificanti –un’Europa diversa, l’altra Europa, la svolta e via dicendo- e gli appelli radicali ‘contro’ degli euro-scettici di varia estrazione, il dibattito europeo si riduce al pro o contro l’euro, o al pro o contro il rispetto degli impegni, mentre anche temi carichi di tragedia umana, come quello dell’immigrazione, vengono rozzamente utilizzati a fini polemici (l’Europa ci lascia soli, l’Europa non ci aiuta, etc). Come se l’Italia fosse l’unico dei 28 investito dal fenomeno –e non è neppure il più colpito- e come se l’Italia fosse estranea alle amnesie del Consiglio dei Ministri dell’Ue quando decide sulle politiche dell’immigrazione.

Se i partiti euro-scettici usano a loro profitto le magagne dell’Unione, i partiti filo europei si mascherano dietro formule alternative generiche e cercano conforto in specchietti per allodole elettorali ‘extra-europei’, a partire dagli sbandieratissimi 80 euro al mese in busta paga –che chi li paga non è ancora chiaro-.

Se questa è la realtà italiana, lo sfondo europeo, analizzato dall’Ecfr, vede gli euro-scettici ottenere ampio consenso in tre grandi Paesi dell’Unione, la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia; diventare una delle principali forze politiche in Grecia, Olanda e Repubblica Ceca; avanzare altrove, e specie in Finlandia, Danimarca, Austria, Ungheria, Lituania, ma anche in Svezia e Germania.

Secondo il centro studi, i partiti euro-scettici, “ottenendo maggiore forza transnazionale all'interno di un sempre più potente Parlamento europeo, potrebbero essere in grado d’invertire il processo d’integrazione europea e mettere a repentaglio lo stesso progetto europeo”. La loro avanzata potrebbe essere più devastante dell’avanzata del Tea Party negli Stati Uniti  e potrebbe allargare lo spartiacque fra Nord e Sud, creditori e debitori.

Una prospettiva forse eccessiva, verso la frammentazione dei movimenti euro-scettici. Però, l’Ecfr avverte che “l’impatto maggiore di una vittoria euro-scettica si avrebbe sulle politiche nazionali (per esempio, l’immigrazione) e con la trasformazione del dibattito politico in una mera, e sterile, battaglia tra i più e i meno Europa”. L’Italia ne sta già fornendo un esempio.

La ricetta dell’Ecfr per contrare il fenomeno è tanto semplice quanto generica: gli europeisti, che non sono comunque un monolito, dovrebbero “fornire ai cittadini scelte concrete” e sapere “affrontare i problemi reali”, politicizzando il dibattito, cioè offrendo alternative tra destra e sinistra, su lavoro, crescita, immigrazione, ascesa della Cina, etc.

Inoltre i partiti europeisti a livello transnazionale, in particolare popolari, socialisti, liberali, dovrebbero togliersi di dosso l’etichetta d’essere una èlite che difende l’Ue a scapito dei cittadini e sottolineare, piuttosto, come i problemi europei, come l’inadeguatezza dell’euro senza un contesto d’Unione economica e politica e il deficit democratico richiedano una risposta costruttiva a livello europeo, invece che la fuga nel nazionalismo e il rifugio della xenofobia.

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