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giovedì 3 aprile 2014

Ue: Tajani & C., i Magnifici Sette dalla Commissione al Parlamento

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/04/2014, non pubblicato
Difficile vederlo nella parte di Yul Brinner, pelato come una palla da biliardo, mentre lui, 60 anni compiuti, conserva una folta capigliatura. Eppure, proprio Antonio Tajani guida i Magnifici Sette della Commissione Barroso: a poco più di 50 giorni dalle elezioni europee, lasciano la poltrona al Berlaymont e cavalcano alla conquista di un seggio nell'Assemblea di Strasburgo.
Con Tajani, vice-presidente e responsabile dell’industria, se ne vanno altri due pezzi grossi dell’Esecutivo comunitario: il finlandese Olli Rehn, una sorta di ‘uomo nero’ dei conti italiani, responsabile dell’economia, e la lussemburghese Viviane Reding –giustizia-; e quattro comprimari.
Come le regole della Commissione impongono, e con qualche variante individuale, i Sette saranno in congedo dal 19 aprile, senza soldo. Per la campagna elettorale, non potranno usare risorse dell’Istituzione. Se saranno eletti e sceglieranno il seggio a Strasburgo, dovranno dimettersi. Se no, il 26 maggio potranno riprendere il loro posto. Ma per poco tempo: la Commissione Barroso scade in autunno e chi punta sul Parlamento lo fa perché non pensa di avere chances di conferma.
Per il prossimo Esecutivo, l’italiano oggi favorito è Massimo D’Alema, anche se gira pure il nome di Enrico Letta. Tajani, esponente dell’opposizione,  sarà capolista di Forza Italia nel Centro Italia: romano, giornalista, ex portavoce del partito agli albori, può ambire a un ruolo di rilievo nell'Assemblea: capo delegazione di FI, capogruppo Ppe, presidente di una commissione, magari vice-presidente del Parlamento o -perché no?- presidente. Nessun italiano lo è mai stato nell'Assemblea eletta a suffragio universale-: l’ultimo, e l’unico, presidente italiano a Strasburgo fu Emilio Colombo, dal 1977 al 1979.
Per Tajani, il Parlamento europeo è un approdo ben noto: eurodeputato dal 1994, rieletto nel ’99 e nel 2004, di lì approdò alla Commissione europea, quando Franco Frattini la lasciò per diventare ministro degli Esteri nell’ultimo governo Berlusconi. Dopo un biennio ai trasporti, punto snodale della delicata vicenda Alitalia, Tajani fu poi confermato per un intero mandato: vice-presidente e responsabile dell’industria e dell’imprenditorialità, dello spazio e del turismo.
Capace d’intrattenere buoni rapporti con il presidente Barroso e con i suoi colleghi –ottima l’intesa con il responsabile del mercato unico, il francese Michel Barnier, che ora ne assumerà l’interim-, Tajani ha lavorato per “un rinascimento industriale” dell’economia europea, con l’obiettivo –fissato dalla Strategia 2020- che il settore manifatturiero torni ad assicurare il 20% del Pil dell’Unione –ora siamo intorno al 16%-.
“Ciò sarebbe stato inimmaginabile, all’inizio del mio mandato –dice, a mo’ di bilancio- … Molto è stato fatto per sostenere l’economia reale e rimetterla al centro delle politiche europee”. Ci sono stati, in questi cinque anni, piani industriali settoriali –auto, acciaio, costruzioni, cantieristica-, missioni per la crescita in Paesi del Mondo e regioni dell’Unione, una speciale attenzione per le Pmi e il lancio dei progetti spaziali Copernico e Galileo. E, di recente, Tajani ha sbloccato una vertenza per il Canale di Panama che rischiava di costare cara alle imprese europee e specie alla Impregilo.
Insomma, Tajani propone al suo successore un confronto difficile. D’Alema, martedì, ha partecipato a un seminario a Roma sulla politica industriale europea ispirato ad Altiero Spinelli, commissario all’industria negli Anni Settanta. Ciò basta ad alimentare l’illazione che D’Alema a Bruxelles punti a quell’incarico, anche se è improbabile, quasi impossibile che lo stesso portafoglio vada per due volte consecutive a un italiano. Spinelli, in realtà, lo ereditò da un italiano, l’ambasciatore Guido Colonna di Paliano: altri tempi, però.

Molto, se non tutto, dipenderà dai negoziati estivi, dopo le europee, fra i governi e fra i partiti. Eppure, c’è chi dà i giochi per (quasi) fatti: Juncker (Ppe) alla presidenza della Commissione e Schulz alla politica estera e di sicurezza, al posto della Ashton. Alla guida del Consiglio europeo, una donna dopo Van Rompuy: la presidente lituana Grybauskaite, una ex commissaria, o la premier danese Thorning-Schmidt.

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