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giovedì 17 aprile 2014

Italia/Ue: Il Pd di Renzi cerca spazi in Europa, D'Alema e la sindrome Fassino

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/04/2014
Un’Italia più credibile in Europa. E nel Mondo. Se ne parla alla presentazione del rapporto dello IAI sulla politica estera italiana, ‘Scegliere per contare’. E ne parla gente che ha i titoli per farlo: tre ex ministri degli Esteri, Massimo D’Alema, Franco Frattini, Emma Bonino; con loro, il sottosegretario Benedetto Della Vedova.
L’Europa polarizza l’attenzione, in vista del voto di maggio e del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue. Lo spartiacque tra chi vuole più Europa, ma la vuole diversa, e chi nega l’euro e l’integrazione domina il dibattito elettorale
“Sarebbe suicida elettoralmente e politicamente cedere alla tentazione di considerare il populismo anti-europeo il nemico principale, che assedia la fortezza europea democratica, nella quale rinchiuderci con i conservatori”, afferma D’Alema. Mentre la Bonino non rinnega il federalismo, anche se brandirlo –ammette- non fa oggi guadagnare consensi.
Tutti denunciando le lacune dell’Europa, nella gestione della crisi, nel Mediterraneo e sul fronte dell’immigrazione, verso la Russia –anche nella crisi ucraina- e sulla questione energetica, verso Turchia e Balcani. Hanno i titoli per farlo: la Bonino e Frattini sono già stati commissari europei, D’Alema potrebbe diventarlo quest’autunno.
L’ex premier è oggi il favorito per il posto italiano nell’Esecutivo comunitario, anche se girano pure i nomi di Enrico Letta e di Piero Fassino, che nelle ultime settimane sarebbe divenuto lo spauracchio dell'ex ministro degli Esteri per via dei giochi di alleanze e convenienze condotti  fra le anime democratiche dal segretario - premier Renzi.

D’Alema appare in pole position, dopo ‘il patto del libro’ con Renzi, intervenuto a Roma alla presentazione del volume ‘Non solo euro. Democrazia, lavoro, uguaglianza! Una nuova frontiera per l’Europa’, firmato come presidente della Fondazione di studi progressisti europei.
Il che non impedisce a D’Alema di essere caustico, rispetto al nuovo Pd. Per rispondere alla sfida del populismo, osservava di recente, a un seminario della sua Fondazione italianieuropei, i “partiti tradizionali iniettano dosi di populismo nella propria narrativa: noi siamo quasi all’avanguardia, abbiamo fatto una cura da cavalli. E ancora: “Chi pensa di risolvere i problemi da solo s’illude ... In Italia, ora, il governo si diverte a dire che taglierà i costi della politica”, ma, per recuperare quanto serve, l’unico modo sarebbe “assassinare tutti i politici: ci vuole un Pol Pot”.
L’ex premier è pure intervenuto a un altro convegno a Roma sulla politica industriale europea ispirato ad Altiero Spinelli, commissario all’industria negli Anni Settanta. Di qui, l’illazione che D’Alema a Bruxelles punti a quell’incarico, anche se è quasi impossibile che lo stesso portafoglio vada per due volte consecutive a un italiano –dal 2009, lo gestisce Antonio Tajani-. In realtà, Spinelli lo ereditò da un italiano, l’ambasciatore Guido Colonna di Paliano: altri tempi, però, eravamo negli Anni Settanta.
Le mire del Pd d’occupazione dei posti europei prevedono, inoltre, la candidatura di Gianni Pittella a presidente del Parlamento europeo, incarico mai ricoperto da un italiano da quando l’Assemblea di Strasburgo è eletta a suffragio universale, cioè dal 1979 –l’ultimo e unico fu Emilio Colombo, dal '76 al ’79-.
Nella corsa alla presidenza del Parlamento, Pittella potrebbe trovarsi contro un altro italiano, e cioè proprio Tajani, che –come altri 6 suoi colleghi- s’è messo ‘in sonno’ da commissario per candidarsi. Tajani, che lascia al suo successore un confronto difficile, sarà capolista di Forza Italia nel Centro. Può ambire a un ruolo di rilievo nell’Assemblea, cui fu già eletto a tre riprese (’94, ’99 e 2004): capo delegazione di FI, capogruppo Ppe, presidente di una commissione, magari vice-presidente o -perché no?- presidente.
Molto, se non tutto, dipenderà dai negoziati estivi sugli incarichi europei, fra governi e partiti. Eppure, c’è chi dà i giochi per (quasi) fatti: Juncker (Ppe) alla presidenza della Commissione e Schulz (Pse) alla politica estera e di sicurezza. Alla guida del Consiglio europeo, una donna dopo Van Rompuy: la presidente lituana Grybauskaite, una ex commissaria, o la premier danese Thorning-Schmidt.

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