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sabato 29 agosto 2015

Chiesa: pedofilia; morto l'ex arcivescovo sotto processo, ma la gramigna resta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/08/2015 

Era il primo prelato pedofilo a essere finito sotto processo nella Città del Vaticano, giudicato da un collegio di soli laici. Ma non era certo il primo, e neppure l’ultimo, dei pedofili nella Chiesa, una gramigna che attecchisce da secoli e che estirpare non è facile. E' morto davanti alla tv accesa, presumibilmente per cause naturali, Josef Wesolowski, 67 anni, polacco, ex arcivescovo. E' stato trovato così, già privo di vita, alle 5 del mattino, da un francescano, nel Collegio dei Penitenzieri in Vaticano, dove scontava gli arresti domiciliari.

Il Promotore di Giustizia ha comunque ordinato un’autopsia che è già stata effettuata. Illazioni e chiacchiere –non c’è dubbio- circoleranno, quale che sia il referto dei medici: in Vaticano, le morti improvvise lasciano sempre aloni di mistero. Basti pensare a quella di Giovanni Paolo I, trovato morto all’alba nella sua stanza il 29 settembre 1978 dopo soli 33 giorni di pontificato: non c’è nessuna prova che il decesso del papa del Sorriso, o del Papa di Settembre, -proprio ieri la causa di beatificazione di Papa Luciani ha fatto progressi- non sia stato naturale; ma ancora se ne parla.

La morte di Wesolowsky, ridotto allo stato laicale per volere di Papa Francesco, riaccende i riflettori sul problema della pedofilia nella Chiesa. Sul tema, dopo le energiche decisioni del nuovo pontefice, è sceso un relativo silenzio, ma nessuno s’illude che la ‘fabbrica dei pedofili’ si sia definitivamente chiusa.

L’impegno del Papa contro la pedofilia si manifesta come una vera e propria rivoluzione nella Chiesa. Pochi mesi dopo la sua elezione, Bergoglio la definisce “una lebbra nella nostra casa” e la mette in testa all’agenda di sradicamento dei mali del clero: migliaia di denunce, miliardi di risarcimenti, comunità sconvolte, nessun continente esente, complicità di cardinali e vescovi, carriere vissute nel silenzio della colpa. Il 10 giugno 2014, viene creato un tribunale ad hoc per processare i vescovi accusati di abuso d’ufficio episcopale, cioè di avere sottovalutato o addirittura insabbiato le denunce di pedofilia ricevute. Poi, un mese dopo, il papa rafforza il sistema penale vaticano relativo ai delitti sui minori.

Wesolowski era sotto processo per atti di pedofilia commessi a Santo Domingo (nei cinque anni in cui è stato nunzio apostolico, dal 2008 al 2013) e per detenzione di materiale pedopornografico (anche durante il soggiorno a Roma sino al suo arresto in Vaticano il 23 settembre 2014). Prova, del resto superflua, che uscire da certi percorsi è difficile, se non impossibile.

Nel 2013 Wesolowski fu sorpreso in una zona di prostituzione minorile di Santo Domingo. Papa Francesco ordinò il suo immediato rientro e, dopo la sentenza di colpevolezza da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, lo condannò alla dimissione dallo stato clericale.

Il suo arresto fu deciso per impedirne la fuga. Rinviato a giudizio il 6 giugno, doveva comparire a processo l'11 luglio. Cinque i capi di accusa a lui contestati: detenzione di materiale pedopornografico, pedofilia in concorso con un diacono, ricettazione di materiale pedopornografico, lesioni gravi alle vittime adolescenti, condotta che offende la religione e la morale cristiana per aver visitato siti pornografici.

Era la prima volta che un presule veniva sottoposto in Vaticano a un processo penale in un tribunale composto solo da laici, proprio in seguito al "motu proprio" di Bergoglio che ha rivoluzionato le norme di procedura penale nella Santa Sede, e ad una misura ad hoc per superare una difficoltà formale, ossia il fatto che Wesolowski risultava ancora vescovo perché si era appellato contro la riduzione laicale inflittagli dall'ex Sant'Uffizio.

L’udienza dell’11 luglio, però, durò solo tre minuti. Wesolowski, che dopo un periodo di detenzione in Vaticano era ai domiciliari per problemi di salute, non si presentò perché colto da malore e il processo fu rinviato a data da destinarsi. La sua morte lascia senza giustizia le vittime e senza risposte chi nella Chiesa di Papa Francesco voleva risalire a quanti per anni hanno coperto l'ex nunzio: l’azione penale è estinta, la sentenza spetta ormai ad altro giudice.

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