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venerdì 21 agosto 2015

Egitto: il Cairo brucia, al-Sisi chiede aiuto a Putin

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/08/2015

Sono lontani i tempi in cui Nasser, leader riconosciuto del post-colonialismo arabo e del movimento dei non allineati, giocava per l’Egitto la carta dell’alleanza con l’Urss in funzione anti-occidentale: lontani oltre mezzo secolo. Ma forse qualcosa di simile sta accadendo di nuovo: il presidente russo Vladimir Putin riceverà il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi a Mosca mercoledì 26 agosto.

Al Cremlino, al-Sisi giunge preceduto dall’eco delle esplosioni che, in questi giorni, insanguinano l’Egitto: i movimenti antagonisti del regime repressivo del generale presidente lo sfidano, dopo l’entrata in vigore, all’inizio della settimana, di 54 nuove misure anti-terrorismo.

Ieri, un attentato, l’ultimo di una serie di azioni cruente, è stato compiuto al Cairo, proprio davanti al Palazzo della Sicurezza nazionale. Secondo un gruppo vicino al sedicente Stato islamico, l’attacco doveva "vendicare i fratelli martiri”: il bilancio è di 29 feriti, tra cui sei poliziotti.

L’incontro tra Putin e al-Sisi è annunciato dal Cremlino: i due parleranno di Medio Oriente e Libia, ma pure delle "prospettive di ulteriore rafforzamento della cooperazione economico-commerciale" tra i due Paesi. Putin, messo un po’ ai margini della politica internazionale dalla crisi ucraina, è ancora tenuto in gioco dall’accordo sul nucleare con l’Iran e dalle crisi nel Grande Medio Oriente.

E’ il secondo incontro quest’anno fra Putin e al-Sisi –ma Renzi fa meglio del russo: è a tre-. Putin era andato in visita al Cairo a febbraio e aveva firmato accordi e memorandum, fra cui l’’intesa per la costruzione della prima centrale nucleare egiziana.

Rispetto agli Anni 50 e 60, l’ideologia non c’entra, o c’entra poco: conta la convenienza politica ed economica. Putin e al-Sisi, poi, hanno stili di governo simili, autoritari e fortemente personalizzati –culto della personalità, si diceva una volta, ma va bene pure ora-. Ma Putin, in più, ha, al momento, un controllo del territorio che l’altro si sogna.

In Egitto, capita persino che i terroristi si disputino un attentato, come ieri. Lo Stato del Sinai, gruppo affiliato allo Stato islamico, ha rivendicato l’azione al Cairo come una vendetta per i martiri di Sharkas, un villaggio dove nel 2014 furono uccisi sette miliziani. Ma in precedenza l’attacco era stato firmato da Egyptian Black Block, una sigla finora attribuita a ultras del calcio che nel luglio 2013 parteciparono ai moti di piazza per rovesciare il presidente democraticamente eletto Morsi.

La dinamica dell’azione evoca, in qualche misura, l’attacco contro il consolato italiano al Cairo, l’11 luglio, anch’esso avvenuto tra la notte e l’alba con un’autobomba.

Secondo una prima ricostruzione, un'auto s’è fermata intorno alle 2 di notte nei pressi dell'edificio della polizia, un palazzo di quattro piani: il conducente è sceso ed è salito su una motocicletta. Poco dopo l'auto è saltata in aria provocando un ampio cratere e danneggiando, oltre alla caserma, anche gli edifici circostanti.

L'attentato avviene tre giorni dopo il via libera al nuovo pacchetto egiziano di leggi anti-terrorismo, più dure di quelle in vigore e che, oltre a inasprire le pene, dà maggiori poteri alle forze di sicurezza. Le nuove norme, 54 misure, sono entrate in vigore nonostante le forti polemiche da parte di attivisti dei diritti dell’uomo ed esponenti della società civile egiziana e della comunità internazionale, che ritengono la riforma un ritorno all'epoca del regime di Hosni Mubarak: una sorta di restaurazione della satrapia che la Primavera egiziana del 2011 aveva cancellato.

L’attacco pare confermare un cambio di strategia da parte degli oppositori armati al regime al-Sisi: più che attacchi massicci nel Sinai contro obiettivi militari, azioni mirate nella capitale e altrove e sequestri di stranieri –l’ultimo, un croato sequestrato il 13 agosto-, per colpire anche il turismo, oltre che gli interessi degli amici del generale presidente.

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