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giovedì 27 agosto 2015

Usa: l'ultimo scoop, uccidere in diretta e 'postare' sul web il proprio delitto

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/08/2015
Assassino, di sicuro. Fuori di testa, molto probabilmente, Ma pure giornalista fino agli ultimi istanti. Vester Flanagan, il ‘collega’ che ieri ha ucciso in diretta televisiva una reporter e un cameramen della sua ex tv, voleva "vendicare la strage di Charleston", ma anche lasciare il segno, ‘fare notizia’, ‘bucare il video’, e il web, mettendo insieme un cocktail d’elementi da prima pagina, il sangue, le immagini, il razzismo –al contrario: il nero che ammazza la bianca, giovane, carina, vestita come le protagoniste della serie tv sulle tv allnews, NewsRoom-.
Accade a Roanoke, Virginia, sul confine con la Carolina del Nord, dove comincia il Profondo Sud. A Roanoke, ci si va per scendere in canoa le rapide sul fiume. O ci si passa scendendo da New York o da Washington in auto verso la Florida. Ora, c’è un motivo in più per segnarsela, sulla carta dell’Unione. Ci faranno un museo sulla motorway; e ci venderanno i ‘memorabilia’ di Vester, che, prima di cercare di scappare, posta la scena sul web.
Sotto accusa, finisce “l’esibizionismo paranoico” sui social media, come spiega il criminologo Francesco Bruno, perché l’aspirante assassino / suicida pensa il suo piano per quel pubblico, oltre che per quello televisivo. E le cronache recenti sono strapiene dell’utilizzo del web come strumento di propaganda criminale e terroristica, oltre che di gratuito e in fondo innocuo auto-esibizionismo.
Ma, in realtà, non c’era bisogno dei social per spingere Flanagan, cronista cacciato, a uccidere Alison Parker, 24 anni, giornalista –a suo dire- razzista, e Adam Ward, 27 anni, cameramen, mentre intervistano in diretta a Bridgewater Plaza Vicky Gardner, direttrice della camera di commercio della contea di Bedford. Una scena di cronaca di provincia: routine professionale, un po’ banale.
Cinema e letteratura americani sono pieni di spunti che Flanagan poteva cogliere, dove la paranoia della notizia spinge al delitto. Nel 1956, Fritz Lang diresse ‘L’alibi era perfetto’, divenuto nel 2009 ‘Un alibi perfetto’ di Peter Hyams: un giornalista costruisce uno scoop sull’arresto e la condanna del procuratore generale -Michael Douglas nell’ultima versione-, per un omicidio da lui commesso proprio per non mettere a repentaglio la sua nomea di grande cronista.
Nel 1976, Network racconta, in chiave satirica, e con un cast di stelle –il regista è Sydney Lumet-, come una tv sia disposta ad assoldare una banda di terroristi, che uccidono il diretta il conduttore del talkshow pur di rilanciare l’audience che langue. E il recentissimo Lo Sciacallo di Dan Gilroy ricorda l’ossessione criminale –e venale- per la notizia e l’immagine che ‘Asso nella Manica’ di Billy Wilder nel 1951 aveva già denunciato tragicamente.
Il governatore della Virginia, Terry McAuliffe, un ex pezzo grosso del Partito democratico, assicura che il duplice omicidio non è “un atto di terrorismo”: e l’America tira un sospiro di sollievo, niente ‘lupi solitari’ questa volta, né integralisti, né ‘supremazisti’; solo normale esaltazione omicida, prendi l’arma e la web camera, vai e uccidi.

Poi, arriva una correzione di rotta: il movente è razziale. E l'incuvo si ripropone: il nemico peggiore per gli americani è il vicino della porta accanto, la frizione fra bianchi e neri. Anche se Flanagan aveva pure "motivi di risentimento" nei confronti della testata televisiva per cui aveva lavorato.

Altri americani, nella sua situazione, e senza la 'giustificazione' di vendicare un atto razzista, hanno fatto molto peggio, stragi in fabbrica, a scuola, in ufficio, alla posta; senza neppure preoccuparsi degli effetti televisivi e senza postare la scena. Flanagan, invece, cronista perfetto, sul posto giusto al momento giusto, sfrutta la forza del web, che in una frazione di secondo serve il delitto su tutti gli schermi, dai pc ai telefonini. Del resto, il duplice omivìcidio l'ha organizzato lui: mica poteva farsi sfuggire la notizia.

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