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sabato 15 agosto 2015

Usa 2016: repubblicani, Trump ne dice qualcuna giusta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/08/2015

Uno che chiacchiera così tanto, e spesso a vanvera, qualcosa di giusto – statisticamente parlando - prima o poi lo dice. E Mother Jones, sito Usa per certi versi tipo DagoSpia, a Donald Trump gliene conta addirittura 13, di cose giuste dette. Intendiamoci, l’articolo ha un sapore fortemente sarcastico, perché - chiarisce l’attacco - “l’essenza di Trump è vomitare insulti sulla gente che gli si mette di traverso”.

E le cose giuste gli capita di dirle “quando non insulta i giornalisti che lo intervistano e che hanno l’ardire di fargli delle domande scomode, o quando non parla male di Hillary Clinton, delle donne in genere, dei neri, dei messicani, del presidente Obama, del senatore John McCain” e di altri ancora vittime dei suoi strali. Per di più, il pezzo ha la firma di un collega , Tim Murphy, il cui cognome evoca la devastante, ma azzeccatissima ‘legge di Murphy’, secondo la quale se qualcosa può andare male, puoi star sicuro che andrà male.

 Ma quali sono le 13 cose giuste che Mother Jones riconosce a Trump? Alcune appartengono al gossip dello showbiz e dello sport e, raccontate agli italiani, sono poco comprensibili (ammesso che lo siano per gli americani). Ma altre hanno rilevanza politica. Ad esempio, la condanna, espressa già nel 2003, dell’invasione dell’Iraq decisa da George W. Bush, “un disastro”. Il giudizio su Dick Cheney, il vice di Bush, “un uomo molto arrabbiato e cattivo”, parole del 2011. L’effetto corruttivo del meccanismo di finanziamento delle campagne elettorali. L’eccessivo attaccamento, anche il suo, alle ricchezze materiali. L’opportunità di legalizzare le droghe, perché reprimerle è uno spreco e ingrassa gli zar del traffico. La necessità di riesaminare la spesa sanitaria, espressa nel 2000. Di se stesso dice “sono una lagna”. Forse per invidia, definisce gli studenti di Harvard imbroglioni e bugiardi – e Tim Murphy commenta “a nessuno piace Harvard”.

L’idea dell’articolo di Mother Jones nasce dalla guerra verbale dichiarata dal magnate dell’immobiliare a Megyn Kelly, cronista della FoxNews, un network sulla carta amico dei conservatori, moderatrice del dibattito fra candidati alla nomination repubblicana per Usa 2016.

Trump ha già pagato con un cartellino rosso i reiterati –e volgari- attacchi contro la Kelly: è stato escluso da un importante incontro con attivisti conservatori ad Atlanta, in Georgia. L'organizzatore Erick Erickson, famoso blogger e fondatore del sito RedState –rosso è il colore dei repubblicani, negli Stati Uniti-, ha definito "umilianti" le frasi di Trump contro la giornalista. 

La polemica conferma che più gaffes fa e più enormità dice, più Trump rafforza la propria popolarità, ma anche polarizza l’opinione pubblca: chi lo ama lo idolatra; e chi non lo ama non lo sopporta più. E’ la sua forza, ma anche il suo limite: perché se c’è chi è pronto a votare per lui, c’è molta più gente che non lo può vedere. E, poi, molti di coloro che lo scelgono come campione sono quelli che, quando c’è da andare a votare, non ci vanno.

Nei sondaggi, Trump resta in testa al gruppone degli aspiranti alla nomination repubblicana. Ma, rispetto ai rivali più accreditati, è quello che perde in modo più netto il match per la Casa Bianca con il candidato democratico, sia contro Hillary Clinton, un’altra che polarizza fortemente l’elettorato, sia contro Joe Biden, il vice-presidente, un cavallo di riserva che non è ancora sceso in lizza. Ed è soprattutto per questo che l’establishment repubblicano non vuole Trump: lo considera una scelta perdente.

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