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sabato 15 agosto 2015

Usa-Cuba: vicini, non più nemici, ma i tre compañeros sono contro gli yankees

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/08/2015

E’ un’altra tappa miliare nella laboriosa normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba: dopo oltre 54 anni, l’ambasciata di Washington a L’Avana è stata riaperta, presenti il presidente cubano Raul Castro e il segretario di Stato Usa John Kerry. 

Ma questa volta il lider maximo Fidel Castro, il padre e l’artefice della rivoluzione cubana, non se ne sta zitto ai margini, non lascia tutta la ribalta al fratello Raul che ne ha preso il posto ai vertici dello Stato e del partito, dopo che la salute e l’età lo hanno quasi messo fuori gioco. Fidel riceve a Cuba gli epigoni castristi, e bolivaristi, dell’America Latina, Evo Morales, presidente della Bolivia, fresco della benedizione della visita a La Paz di Papa Francesco, e Nicolás  Maduro, successore in Venezuela di quell’Hugo Chavez che ha dato un’impronta originale ed evolutiva al retaggio castrista.

Morales e Maduro gli portano gli auguri per il suo 89° compleanno. L’incontro dei tre ‘compañeros’ è un gesto simbolico. Il messaggio politico Fidel lo affida a Gramma, la ‘Bibbia’ della sua rivoluzione: scrive che gli Stati Uniti non possono cavarsela con la fine dell’embargo, ma devono ancora pagare milioni di dollari di indennizzo a Cuba per gli effetti negativi del blocco degli scambi sull’economia dell’isola. 

La visita di Morales e Maduro fa da contraltare all’arrivo di Kerry per la cerimonia di apertura dell’ambasciata. Con il segretario di Stato, ci sono tre marines che il 3 gennaio 1961, poco più che ragazzi, ammainarono la bandiera statunitense nell’isola e che oggi, uomini di oltre 70 anni, tornano per issarla.

Parlando in inglese e in spagnolo, Kerry ha reso omaggio ai presidenti Obama e Castro per “la coraggiosa decisione di non restare prigionieri della storia”, ha ringraziato il Papa Francesco e la diplomazia vaticana per il ruolo avuto nella riconciliazione Usa-Cuba e ha affermato: “Non siamo più nemici, siamo vicini”, nell’attesa di diventare amici. Il segretario di Stato avverte che il processo potrà andare avanti “a singhiozzo”, ma assicura che andrà avanti, anche se “il cammino verso relazioni davvero normali è ancora arduo”. 

Un cammino cominciato con l’inattesa stretta di mano fra i presidenti Obama e Castro ai funerali di Nelson Mandela, proseguito con la ripresa delle relazioni diplomatiche, la fine delle limitazioni a comunicazioni e viaggi, e ora la riapertura delle ambasciate. Perché la normalizzazione sia completa manca l’ok del Congresso alla fine dell’embargo economico e commerciale. Una decisione è attesa a settembre, ma non sarà una formalità, perché l’opposizione dei repubblicani, che hanno la maggioranza al Congresso, è forte. I conservatori rimproverano all’amministrazione democratica di avere fatto aperture a Cuba senza ottenerne in cambio passi per l’evoluzione del castrismo verso la democrazia all’occidentale.

Nel suo discorso, ieri, Kerry ha insistito sui diritti dell’uomo nel rispetto delle differenti culture. E’ evidente il desiderio di Obama di rendere irreversibile, prima della fine della presidenza, la ‘pacificazione’ tra Usa e Cuba che, insieme a quella tra Usa e Iran, può costituire il maggiore lascito di politica estera del suo secondo mandato, cui fa da contrappeso il peggioramento delle relazioni con la Russia, ripiombate per la crisi ucraina in un clima da guerra fredda. 

L’ideale di un dialogo tra le civiltà come alternativa allo scontro tra Cristianesimo e Islam, affermato nel discorso del Cairo del giugno 2013, è invece impantanato nelle tensioni drammatiche del Medio Oriente, con gli strascichi irrisolti degli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, e le involuzioni in senso repressivo o terroristico delle primavere arabe.

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