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martedì 3 gennaio 2012

Iran: rombi di guerra nel Golfo, i 'buoni' e i 'cattivi'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 03/01/2012

IRAN 1 – I ‘guerrafondai’

Un vero e proprio ‘partito della guerra tra l’Iran e l’Occidente’ non esiste; o, almeno, non dovrebbe esistere, fatte salve frange di estremisti integralisti in Iran e, magari, pure in Israele, dove la fazione dell’attacco preventivo non è mai morta –e forse ha già colpito, con i sabotaggi in impianti nucleari iraniani-. Ma un ‘partito del rialzo della tensione’ c’è di sicuro, in Iran, in Israele e negli Stati Uniti.

Ad animarlo, interessi diversi. In Iran, dove il regime è traversato da contrasti interni, fra i fautori della linea dura del presidente Ahmadinejad e i partigiani del dialogo con i moderati, l’innalzamento del livello del confronto consente al potere di compattare il sostegno dell’opinione pubblica, chiamata a parare un attacco che viene dall’esterno.

In Israele, dove la minaccia di un Iran dotato dell’arma nucleare è percepita con più forza, ed è forse esagerata, c’è chi pensa che il manifestarsi d’un potenziale focolaio di tensione e di conflitto ri-concentri l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla pericolosità della regione. In tale ottica i progressi verso la democrazia dei Paesi protagonisti della Primavera araba portano una percezione, falsa e pericolosa, di maggiore sicurezza, mentre, invece, almeno nell’analisi israeliana, ma non solo, le incertezze della situazione in Egitto, il mix di proteste e di repressione in Siria –ormai vicina alla guerra civile- e le ingerenze iraniane in tutta la Regione, oltre alle divisioni palestinesi, accrescono l’instabilità del Medio Oriente e non la diminuiscono di sicuro.

Negli Stati Uniti, infine, in un anno elettorale, la Casa Bianca può avere interesse, per motivi sostanzialmente analoghi a quelli del regime iraniano, a fare crescere la percezione di una minaccia esterna, militare o terroristica, perché ciò suscita sentimenti di solidarietà nazionale e fa scattare il riflesso a stringersi intorno al presidente, aumentandone, quindi, le possibilità di conferma per un secondo mandato. Ma, nonostante le scontate dichiarazioni che ‘tutte le opzioni sono aperte’ e che ‘il ricorso alla forza non è escluso’, Barack Obama e la sua Amministrazione non hanno intenzione di arrivare fino a quel punto.


IRAN 2 – I ‘pacifisti’

A parole, tutti vogliono un abbassamento della tensione tra l’Iran e l’Occidente, usando a sostegno concetti nobili come la pace e il dialogo fra i popoli (ma avendo magari in mente libertà degli affari e la sicurezza energetica). Nei fatti, i più interessati a che la situazione resti sotto controllo e, anzi, si raffreddi sono i Paesi europei, specie quelli come la Francia, la Germania e anche l’Italia, che fanno affari con l’Iran e ne comprano energia. E, poi, ci sono Russia e Cina: Mosca è il ‘grande protettore’ dei programmi nucleari civili iraniani, Pechino è ostile ad ogni eco di egemonia internazionale degli Stati Uniti. E il ‘partito della pace’ annovera nelle sue fila i Paesi arabi del Medio Oriente preoccupati dell’impatto d’un conflitto nella Regione.

Gli europei sono, però, tra l’incudine e il martello: da una parte, non vogliono rompere con l’Iran e neppure giungere a un confronto nel Golfo che ne rallenti, se non addirittura interrompa, il flusso energetico e commerciale; dall’altra, non vogliono prendere le distanze dagli Stati Uniti e sono partecipi del rischio d’instabilità che un Iran dotato della ‘bomba’ costituirebbe, non solo per il Medio Oriente. Ecco, allora, Bruxelles percorrere, insieme a Washington, ma in contrasto con Russia e Cina, la via dell’inasprimento delle sanzioni per via europea o bilaterale, visto che all’Onu russi e cinesi hanno il potere di bloccare le misure. Con contraccolpi economici e finanziari immediati, vista la caduta del rial nelle ultime ore.

Infine, al partito della pace s’iscrivono, almeno per il momento, anche i più bellicosi e guerrafondai dei candidati alla nomination repubblicana alla Casa Bianca: la loro non è una scelta di principio, ma di comodo. Tranne i due mormoni Romney, un politico d’esperienza preparato a 360 gradi, e Huntsman, un ex ambasciatore in Cina che sulla politica estera è a suo agio, gli altri sono dilettanti in materia e hanno già dato prova della loro ignoranza negli affari internazionali: c’è chi non sa dove stia la Libia e chi non sa che gli Stati Uniti hanno partecipato al conflitto libico. Meglio che il tema resti fuori dalla campagna elettorale, così da non rischiare gaffes letali. Al momento buono, se ci sarà da menar le mani, loro saranno pronti; o, meglio, sarebbero, perché gli elettori americani alla Casa Bianca non ce li manderanno.

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