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domenica 22 gennaio 2012

Usa 2012: se il presidente non lo batto, lo ammazzo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/01/2012

Tre morti ammazzati (e un quarto, Reagan, rischiò grosso), quattro deceduti durante il loro mandato: fare il presidente degli Stati Uniti è un mestiere pericoloso, quasi una volta su cinque non ne esci vivo. Così, non c’è da stupirsi che qualcuno abbia pensato di uccidere Barak Obama: aeroplanini contro la Casa Bianca, matti scatenati che attraversano pezzi di Stati Uniti armati di tutto punto per arrivare a Washington e giustiziare il comandante in capo, esaltati che scavalcano la cancellata tutto intorno alla residenza presidenziale, anche le cronache di Clinton e di Bush jr sono piene di scampati pericoli, a volte amplificati dall’efficienza dei meccanismi di sorveglianza. Senza contare gli intrighi internazionali, veri o presunti che siano mai stati.

Quella ora portata in primo piano dall’Huffington Post, in piena campagna elettorale Usa 2012, è una storia che mette insieme il fanatismo degli estremisti d’America e i temi più incendiari della politica internazionale, il Medio Oriente, la sicurezza di Israele, il ruolo Usa in quell’area.

Andrew Adler, il proprietario di una pubblicazione della Georgia, l’Atlanta Jewish Times, ha suggerito al governo israeliano di prendere in considerazione l’assassinio di Obama. Un articolo di Adler, scritto all’inizio dell’anno, parte dalla necessità di proteggere il popolo di Israele dalle minacce rappresentate da Hamas e gli Hezbollah e indica che Israele ha sostanzialmente a disposizione tre opzioni: 1) attaccare Hamas e gli Hezbollah; 2) ordinare la distruzione delle installazioni nucleari iraniane a ogni costo; 3) uccidere Obama.

Ora, l’impressione è quella di avere a che fare con un esaltato del suo, che non gode di contatti particolari e che non è l’emissario di qualcuno. Né si capisce come l’uccisione di Obama migliorerebbe la sicurezza di Israele, in un momento in cui l’importante sembrerebbe non fare nulla che comprometta gli equilibri della Regione, già traballanti per gli incerti esiti della Primavera egiziana e dalla situazione in Siria. A Obama, con cui ha rapporti freddi, il premier israeliano Benjamin Netaniahu rimprovera l’apertura al dialogo con l’Islam e un’amicizia per Israele meno acritica
di quella dei suoi predecessori, ma di qui a farne un ‘nemico pubblico numero 1’
nel mirino del Mossad ce ne corre.

Alla fine, Adler, in una dichiarazione rilasciata venerdì alla Jewish Telegraphic Agency, fa una marcia indietro totale: “Me ne pento molto, vorrei non averlo mai scritto”. Episodio chiuso? Fin qui, la ricostruzione sull’Huffington Post. Certamente, non è la prima volta, e neppure, probabilmente, la più pericolosa che Obama è finito sotto tiro per la sua politica mediorientale, o per altri aspetti della sua politica estera –pensiamo solo al Pakistan-, che molti suoi critici considerano eccessivamente passiva.

Ma l’episodio acquista rilievo nel pieno della campagna per le elezioni presidenziali del 6 novembre, mentre gli aspiranti alla nomination repubblicana, che sabato si sono affrontati nelle primarie in South Carolina, appaiono divisi su tutto, meno che nell’attaccare il presidente sulla politica estera.

Quello lo fanno tutti, sia pure da angolature diverse. Un iper-conservatore come
Newt Gingrich e un moderato cone Mitt Romney –i due favoriti in South Carolina- concordano nel contestare Obama gestisce le minacce provenienti da nazioni ostili agli Stati Uniti, specie l’Iran. E secondo The Hill, una rivista di Washington, più
d’un aspirante repubblicano pensa che il presidente sia troppo duro con Israele e non lo sia abbastanza con i nemici di Israele.

Parlando a dicembre a un forum di ebrei d’America repubblicani, Romney disse: “Obama appare più generoso con i nostri nemici che con i nostri amici”. Secondo Michelle Bachmann, una candidata già uscita di scena, “il presidente ha confuso l’impegno con la pacificazione e ha così dato corda ai nemici di Israele”. Eppure, la popolarità di Obama nella comunità ebraica americana, importante ai fini della sua rielezione, pare tenere bene: Forward, un sito ebraico, scrive che i principali finanziatori ebrei della campagna 2008 restano accanto al presidente, e soprattutto continuano a foraggiarlo, in questa campagna.

Lo stesso Obama, in un’intervista a Time, ha respinto le accuse repubblicane alla sua politica estera: “L’America è più forte”, dice. Certo, ha eliminato Osama bin Laden e altri suoi accoliti, ha portato a casa i ragazzi dall’Iraq e si appresta a cominciare a ritirarli dall’Afghanistan, riduce la presenza militare in Europa. E si sente così sicura da abbassare (un po’) la guardia alle frontiere e da puntare sul turismo per rilanciare l’economia.

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