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martedì 10 gennaio 2012

Usa 2012: New Hampshire, Romney il metronomo e l'altro mormone

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/01/2012

Anche i metronomi, qualche volta, perdono una battuta. Mitt Romney, milionario, mormone, ex governatore del Massachussetts, indiscusso battistrada nella corsa
alla nomination repubblicana alla Casa Bianca, ha fatto un passo falso, il primo, forse, della sua campagna, alla vigilia delle primarie nel New Hampshire, che oggi potrebbero consacrarlo favorito assoluto e sfoltire il campo dei suoi rivali: Rick Perry è in odore d’abbandono, una settimana dopo il responso deludente nello Iowa.

Dipinto dagli avversari come un manager dedito a liquidare aziende e posti di lavoro, Romney difende il suo curriculum da buon manager: "Mi piace –dice- licenziare le persone che lavorano per me, se non mi rendono un buon servizio, e assumere qualcun altro al loro posto". Jon Huntsman, che qui si gioca le carte migliori, ha una replica tagliente: "A Romney piace licenziare, a me piace creare posti di lavoro".

A fidarsi dei sondaggi, le primarie in questo Stato del New England rischiano di diventare una partita fra mormoni (anche Huntsman lo è). L’ex governatore e l’ex ambasciatore sono i due unici candidati spendibili in questo angolo d’America libertario, ma anche ‘liberal’, con tratti conservatori, ma mai razzista. Huntsman accusa Romney di condurre una campagna senza visione: “Io credo di dovere mettere il mio Paese al primo posto, mentre Mr Romney sembra credere che si debba mettere prima la politica”. Una risposta alle critiche di Romney perché Huntsman accettò la nomina ad ambasciatore in Cina dal presidente Obama, un democratico.

Presto 65 anni, figlio di un padre nato in Messico –potrebbe avere doppia cittadinanza-, sposato con Ann, cinque figli, è stato organizzatore dei Giochi d’Inverno a Salt Lake City nel 2002, governatore del Massachussetts dal 2003 al 2007 e candidato alla nomination nel 2008 –fu l’ultimo a cedere le armi a John McCain-. Molti repubblicani lo considerano “l’uomo giusto”, un presidente predestinato; altri lo vivono come una mina vagante, un perdente predestinato.

Figlio d’arte –il padre, George W., fu governatore del Michigan, la madre Lenore provò a diventare senatore-, un trascorso da missionario in Francia, dopo gli studi si mise in affari con risultati brillanti. Si candidò a senatore nel 1994, ma scelse il collegio sbagliato, contro quel Ted Kennedy destinato a tenere il seggio fino alla sua morte, uno praticamente imbattibile. Poi si dedicò alle Olimpiadi invernali: dovevano essere un disastro finanziario e, invece, ne venne fuori un successo.

Nel 2002, fu eletto governatore del Massachussetts: un’impresa per un repubblicano, perché lo Stato di Boston ha una grossa tradizione democratica. Durante il mandato, realizzò una grossa riforma dell’assistenza sanitaria statale, cui s’è ispirato, nel 2010, Obama per varare la sua riforma nazionale.

Nel 2006, Romney non puntò a un secondo mandato. Pensava già alla nomination 2008 e, intanto, spostava la sua retorica su posizioni più conservatrici, così da non essere troppo percepito come un corpo estraneo all’anima più profonda –qualunquista, sudista, evangelica- del partito repubblicano.

Sconfitto nel 2008, Romney continuò a prepararsi alla Casa Bianca. In questa campagna, ha finora dimostrato tenuta e costanza: è praticamente sempre rimasto in testa ai sondaggi. E i repubblicani dell’establishment, quelli che hanno posto di lavoro a Washington e casa a Georgetown, o nei sobborghi borghesi, preferiscono correre il rischio di perdere con lui che di vincere con un ingombrante portabandiera del Tea Party o un eccentrico alfiere dell’anti-politica o del libertarismo.

L’esperienza della corsa alla nomination lo aiuta a evitare errori o ingenuità. Contro di lui, ci sono, però, il grigiore, l’uniformità, la monotonia: Mitt è spesso percepito come una persona noiosa, che manca di brillantezza. Non di brillantina, chè ne ha pieni i capelli.

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