Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/01/2012
Ha vinto Romney. Anzi, no, ha vinto Obama. Nelle assemblee dello Iowa che, martedì notte, hanno aperto la stagione delle primarie per scegliere i candidati dei maggiori partiti alla elezioni presidenziali del 6 novembre negli Stati Uniti, Barack Obama, che non ha avversari per la ‘nomination’ democratica, ha mobilitato 75mila elettori e ha arruolato 7500 volontari come militanti per la sua campagna. Una conferma del recupero di popolarità in atto da parte del presidente, cui un sondaggio Gallup attribuisce un indice di gradimento in risalita al 45%, dopo essere sceso nei mesi scorsi sul fondo dei trenta.
Per i repubblicani, dove la corsa alla nomination è aperta e incerta, sono andati a votare poco più di 120 mila elettori, E Mitt Romney, ex governatore del Massachussetts, imprenditore, mormone, s’è imposto per otto voti, 30.015 a 30.007, su Rick Santorum, ex senatore della Pennsylvania, avvocato, cattolico (e integralista). Ma se otto voti (nello Iowa) vi paiono pochi, vi sbagliate: li avesse avuti di vantaggio Santorum su Romney, sarebbero stati (quasi) insignificanti; ma li ha Romney su Santorum e, allora, pesano un sacco, perché significano che l’uomo che fin dall’inizio è stato il battistrada, ma che si porta dietro una patina da perdente, sa vincere anche in trasferta, su un terreno a lui sfavorevole.
Romney, infatti, non solo ha tenuto, ma s’è imposto nel primo test che contava, i caucuses di questo Stato del MidWest rurale e tendenzialmente conservatore, dove religione e ‘valori’, come li intendono gli americani, cioè sì alla vita e no all’aborto, contano. Dietro a lui, l’ex senatore della Pennsylvania, un italo-americano con sette figli, e poi Ron Paul, ex deputato del Texas, un ‘libertario’ che qui sperava di fare meglio, ma che ha la stamina per arrivare fino in fondo, come mostrò già quattro anni or sono, tenendo botta a John McCain e allo stesso Romney fino agli ultimi round.
I suffragi repubblicani si sono un po’ dispersi fra i sette in lizza: Romney il 24,6%, Santorum il 24,5%, Paul il 21,4%. Indietro Newt Gingrich, uno zombie politico degli Anni Novanta, poco più del 13%; Rick Perry, governatore del Texas, poco più del 10%; Michele Bachmann, deputata del Minnesota, icona del Tea Party, che qui aveva vinto un test di prova l’estate scorsa, poco più del 5%. L’altro mormone Jon Huntsman, ex ambasciatore in Cina, che nello Iowa s’è visto poco, ha raccolto 745 voti, manco l’1%. Il miliardario nero Herman Cain s’era fatto da parte dopo le accuse di molestie sessuali di sue ex dipendenti, ma ha preso lo stesso 56 voti.
Perry e la Bachmann stanno già tirando la lezione dalla batosta. Perry va a meditare nel suo Texas, ma manda un tweet di speranza ai suoi sostenitori, annunciando “Eccoci South Carolina” e lasciando quindi intendere che la corsa continua verso le prossime tappe, il New Hampshire, martedì prossimo, 10 gennaio e, appunto, la South Carolina, il 21 gennaio. La Bachmann, invece, sospende la campagna e annulla il viaggio in South Carolina: la sua corsa finisce qui, lacrime e delusione.
Partita a tre, scrive il New York Times e un po’ tutta la stampa americana. E forse partita già vinta per Romney. Ma il personaggio del giorno è Santorum, se non altro perché nessuno, prima di Natale, lo prendeva in considerazione. E, poi, ogni voto dello Iowa è costato a Romney 113 dollari, a Santorum neppure due.
L’ex governatore del Massachussetts, già organizzatore dei Giochi d’Inverno del 2002 a Salt Lake City, non ha finora sbagliato una mossa, ma non ne neppure fatto una vincente –gli è bastato assistere allo ‘squagliarsi’ dei suoi avversari l’uno dopo l’altro-. Santorum, molto vicino all’Amministrazione di George W. Bush, è sostenuto con riluttanza dalla destra religiosa evangelica, che, strada facendo, ha man mano bruciato i paladini suoi e del Tea Party. Paul, dei tre, è quello che ha la storia politica più densa, ma anche più stramba: da presidente, promette d’introdurre la ‘flat tax’, tassa unica con aliquota uguale per tutti, di abolire la Fed, la banca centrale degli Stati Uniti, e di richiamare in patria tutte le truppe Usa nel Mondo.
Le primarie nel New Hampshire proporranno un contesto politico e sociale totalmente diverso: siamo nel New England, la regione più liberal e più europea degli Stati Uniti. Romney, lì, è favorito –e incassa l’appoggio di McCain, che lo battè nel 2008-; Santorum dovrebbe, invece, essere in difficoltà, nonostante gli slogan ‘obamiani ‘tipo ‘We can win’, possiamo vincere; Paul, che ha dalla sua gli ‘under 30’, dovrebbe tenere bene, perché qui le sue idee libertarie attecchiscono –‘Live Free or Die’, vivere libero o morire, è il motto dello Stato-; Gingrich potrebbe tornare a galleggiare; Huntsman misurare il suo (scarso) peso reale.
Intanto, Obama, appena tornato a Washington dalle vacanze alle Hawaii, lancia un messaggio video in cui mostra capelli improvvisamente bianchi: si era già notato il suo ‘sale e pepe’,, ma qui appare quasi un vecchio. Segno che il potere forse non logora, ma incanutisce. Il tono, però, è battagliero e galvanizzante: chiede altri quattro anni per cambiare l’America. Nei primi quattro, a dire il vero, ci ha provato poco.
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