Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/01/2012
E quattro: quattro fuori e quattro dentro. Rick Perry, governatore del Texas, un clone di George W. Bush, lascia la corsa alla nomination repubblicana senza neppure attendere l’esito delle primarie di martedì prossimo nella South Carolina. Restano, così, in corsa Mitt Romney, il battistrada, che non vive però il momento più brillante della sua campagna color grigio monotono; Ron Paul, il ‘libertario’, che non ce la farà, ma non mollerà tanto presto; e i due conservatori rimasti a contendersi i voti, se ci saranno, del Tea Party e degli evangelici: Newt Gingrich, una vecchia volpe politica, una penna bianca dei conservatori americani, cui Perry lascia i suoi delegati –poca cosa- e Rick Santorum, l’integralista cattolico, la sorpresa delle prime battute di questa corsa.
Perry finisce in panchina, con gli altri esclusi: Herman Cain, nero, pizzaiolo, milionario, messosi fuori da solo, dopo le accuse di molestie sessuali rivoltegli
da sue ex dipendenti; Michele Bachmann, l’unica donna, bocciata dallo Iowa che, l’estate scorsa, l’aveva proclamata favorita del Tea Party; e Jon Huntsman, l’ex ambasciatore in Cina, uscito di scena due giorni fa, dopo avere constatato lo scarso impatto finora avuto nella corsa.
A Perry, la botta decisiva l’ha forse data il dibattito a cinque di martedì sera e l’ennesima gaffe: questa volta, ha equiparato l’attuale leadership turca islamico-moderata a terroristi integralisti e ha tessuto l’elogio della Turchia ai tempi della dittatura militare. Castronerie di politica internazionale, ma distinguo difficili da cogliere per i suoi elettori texani, che tutto quello che sta a Est del Pecos lo guardano con diffidenza.
Sabato, la South Carolina o, al massimo, il 31 gennaio la Florida diranno qual è il campione dei conservatori che contenderà la nomination al moderato Romney: Gingrich e Santorum, infatti, si spartiscono gli stessi voti e la presenza dell’uno azzoppa l’altro. Fin quando loro si beccano, Romney sta tranquillo; e Obama sta tranquillissimo. E si prende il tempo di ricevere le credenziali degli ambasciatori: il nuovo rappresentante dell’Italia a Washington Claudio Bisogniero, che rimpiazza l’ambasciatore Terzi divenuto ministro, gli presenta le sue e si sente tessere l’elogio del Governo Monti e dell’amicizia italo-americana.
I saggi repubblicani capiscono che, a forza di attaccarsi fra di loro, gli aspiranti alla nomination fanno il gioco dei democratici e invitano a cessare il fratricidio. Anche se, in realtà, l’ex governatore del Massachusetts si comporta già da candidato e insiste che lui è l’unico dei repubblicani in lizza a potere battere il presidente in carica –vero: lo dicono i sondaggi e lo dice il buonsenso, ma Gingrich va in giro proclamando il contrario-.
Obama non degna d’una battuta Paul, Gingrich e Santorum, ma stuzzica Romney: lo invita a rendere pubblici i suoi redditi, su cui il milionario mormone continua a non fare chiarezza, e lo iene sotto tiro per quegli otto milioni di dollari depositati su conti nelle isole Cayman. Nessun reato, insisttono i legali di Romney, ma neppure il biglietto da visita migliore per chi vuole essere presidente d’un Paese che non è ancora uscito dalla crisi e che, anzi, teme di ricadere nella recessione., dove i senza lavoro sono parecchi milioni e i poveri varie decine di milioni. Obama lo incalza: “Dichiari almeno le tasse che paga”, i candidati alla presidenza lo fanno sempre. E intanto assume alla casa Bianca un ex collega di Romney: Jeffrey Zients, che è il nuovo responsabile del bilancio, lavorò nella stessa azienda dell’ex governatore, ma in tempi diversi.
A questo punto, dunque, la South Carolina deve soprattutto dire chi è più forte fra Gingrich, che riceve l’endorsement di Sarah Palin, la grande assente di questa corsa, e Santorum, che ottiene invece l’appoggio, ben più pesante sulla carta, ma tiepido nella forma, degli evangelici. Resta da vedere quanto davvero i cristiani ultra-conservatori siano convinti d’appoggiare un ‘papista’, che, per di più, avrebbe speso nella campagna anche soldi raccolti per beneficienza.
I sondaggi dicono che Romney è nettamente in testa in South Carolina, ma che sta perdendo consensi: sfiorava il 40%, ora è a un terzo, mentre Gingrich è salito sopra la soglia del 20% e Santorum ne resta al di sotto. Paul, che qui non è proprio a suo agio, sta al 13%. E ora Newt e Rick devono spartirsi il 6% di Perry: se andasse tutto a Gingrick, lui e Romney sarebbero quasi testa a testa. Gli stessi sondaggi mostrano statisticamente pari Obama con Romney e anche con Paul, ma i candidati repubblicani godono, in questa fase, di una maggiore esposizione mediatica del presidente (e, comunque, sia Gingrich che Santorum escono stracciati nel duello).
In attesa di contare i voti della South Carolina, c’è chi riconta quelli dello Iowa, dove Romney aveva battuto Santorum di soli otto suffragi –e poi s’è scoperto che, in realtà, avrebbe perso per 34-. Il partito decide che è stata pari e patta, tanto i due hanno portato a casa, cioè alla convention, lo stesso numero di delegati. E già si profila la Florida, dove Romney per il momento viaggia oltre il 40% e Gingrich al 25%. Ma gli indecisi sono un sacco.
venerdì 20 gennaio 2012
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