Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 10/09/2011
L’11 Settembre 2001 è uno di quei giorni –pochi, pochissimi- in cui ‘c’eravamo tutti’: dai vent’anni in su, tutti ricordiamo dov’eravamo, che cosa facevamo quando la notizia che le Torri Gemelle erano state colpite, stavano venendo giù, erano crollate, ci raggiunse e noi ci incollammo davanti alla tv per seguire le immagini in diretta.
La stragrande maggioranza seppero di quanto stava avvenendo quando i contorni della vicenda erano già definiti: l’America era sotto attacco, il World Trade Center a New York e il Pentagono erano stati colpiti. Io, che allora ero corrispondente dell’ANSA da Washington, ne vissi, invece, momento per momento lo sviluppo e impiegai un po’ di tempo a comprenderne le dimensioni, anche per una riluttanza istintiva a credere alle cose ‘impossibili’, alle notizie ‘troppo grosse’.
Quando il primo aereo, il volo AA11, partito da Boston per Los Angeles, colpì la prima torre, erano le 08.46 sulla Costa Est degli Stati Uniti. Con i colleghi di New York, stavamo facendo la riunione ‘telefonica’ di ogni mattina per decidere il programma del giorno. La Cnn, sempre accesa, ci porta una breaking news: un aereo è entrato in una delle torri del World Trade Center. L’immagine è lontanissima: non si capisce, né si sa ancora, se sia stato un aereo da turismo, o un cargo, o un volo di linea; si pensa a un incidente; non se ne conoscono le dimensioni.
Una collega si sgancia dalla riunione per seguire la notizia, noi proseguiamo, convinti che quello sia, comunque, il fatto del giorno, ma non consapevoli che resterà il fatto del giorno per molti giorni a venire; e che tornerà ad esserlo per anni, nella guerra in Afghanistan, nell’invasione dell’Iraq, nell’uccisione di Osama bin Laden, a ogni anniversario.
Poi le immagini s’avvicinano. Alle 09.03 il secondo aereo, il volo UA175, pure partito da Boston e diretto a Los Angeles, colpisce l’altra torre in diretta televisiva. Alle 09.43, un terzo aereo, il volo AA77, partito da Washington e ancora diretto a Los Angeles, si schianta alla base del Pentagono. Alle 09.58, un quarto aereo, il volo UA93, partito da Newark e diretto a San Francisco, quello su cui i passeggeri si ribellano ai dirottatori, cade in Pennsylvania. Le torri a una a una s’accartocciano, si sgretolano e vengono giù, alle 09.59 e alle 10.28. L’espressione inebetita del presidente Bush raggiunto dalla notizia davanti a una scolaresca della Florida dà la misura dello sbigottimento dell’America. A quel punto, chi c’è dentro e chi è spettatore lontano, tutti abbiamo capito: il nostro mondo intero è davanti alla tv nel suo 11 Settembre.
Una giornata frenetica di notizie, testimonianze, allarmi, incertezze. Si fanno ipotesi sulle vittime. 3.000, forse 6.000, magari di più; in Italia, un ministro ‘spara’ 20 mila e giornali, radio, tv gli vanno dietro, all’insegna del ‘meglio più che meno’ –a conti fatti, le vittime saranno quasi 3.000, complessivamente, tra New York, Washington e la Pennsylvania-. Perdo di vista la dimensione della tragedia perché il racconto si spezzetta in episodi; e m’immagino sia come un terremoto, dove il numero delle vittime prima s’impenna e poi scende man mano che si recuperano superstiti.
Non è così. Me ne rendo conto nel pomeriggio, quando m’accorgo che gli ospedali di New York, mobilitati per accogliere centinaia, migliaia di feriti, restano praticamente deserti e che le centinaia di ambulanze accorse nei pressi del World Trade Center rimangono lì vuote: quello che presto diventerà per tutti Ground Zero restituirà solo resti senza vita; i sopravvissuti recuperati nelle ore e nei giorni a venire saranno pochissimi. Chi c’era, sotto le Torri, nelle Torri, o è riuscito a uscirne e ad allontanarsene, e se l’è cavata, in genere, con paura, contusioni, problemi respiratori, preso magari nella nuvola di polvere sollevata dai crolli, o c’è rimasto per sempre.
sabato 10 settembre 2011
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