Scritto per Il Fatto Quotidiano del 02/09/2011
Gli ‘amici della Libia’, riuniti a Parigi, discutono di pace, di transizione, di ricostruzione, ma hanno parole di guerra: la missione della Nato continuerà “fin quando vi saranno civili a rischio”, afferma il segretario di Stato Usa Hillary Clinton; e Silvio Berlusconi incalza, “l’impegno proseguirà fino alla liberazione del Paese”. Frasi che fanno eco all’appello lanciato da Muammar Gheddafi, proprio in coincidenza con l’inizio della conferenza all’Eliseo, a “continuare la resistenza”. Il rais sostiene che vi sono divergenze tra la Nato e gli insorti ed esorta le tribù a “mettere il Paese a ferro e fuoco”: “Non ci arrenderemo mai, non siamo donne”.
Transizione alla democrazia e ricostruzione sono i temi di fondo della conferenza internazionale co-presieduta da Francia e Gran Bretagna e ‘benedetta’ dagli Stati Uniti: vi partecipano una sessantina di delegazioni, con 12 capi di Stato, 17 capi di governo, una ventina di ministri ed i rappresentanti di varie organizzazioni internazionali. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno accanto i capi del Consiglio nazionale di transizione, il Cnt, l’organo politico dell’insurrezione libica.
Sul terreno, gli insorti prorogano il loro ultimatum ai lealisti circondati alla Sirte, mentre Gheddafi sarebbe a Bani Walid, un centinaio di chilometri a sud-est di Tripoli. Il suo clan pare sgretolarsi: un figlio, Saif, minaccia; un altro, Saadi, tratta la resa; l’ex premier Al Baghdadi Al Mahmoud defeziona; il ministro degli esteri Abdelati Obeidi è agli arresti.
A Parigi non ci sono solo i Paesi del Gruppo di Contatto protagonisti dell’intervento militare contro il regime del colonnello. Ci sono pure, ad esempio, la Germania, con il cancelliere Angela Merkel, che è rimasta fuori dal conflitto, e la Russia, la Cina e l’India, contrarie all’azione di forza. L’invito non è stato accettato da Arabia Saudita, Nigeria e SudAfrica.
In occasione della conferenza, alcuni governi che non l’avevano ancora fatto hanno riconosciuto il Cnt come interlocutore legittimo: Mosca e Pechino hanno rispettivamente accettato il Cnt come “autorità al potere” o entità dotata “di un ruolo importante per la soluzione della crisi libica”. L’Algeria, protagonista di uno screzio diplomatico con i ribelli accogliendo sul proprio territorio familiari del dittatore, s’impegna a riconoscere il Cnt non appena formato “un nuovo governo rappresentativo di tutte la Regioni del Paese”; e nega di avere mai pensato di dare asilo a Gheddafi.
Oltre che di transizione, all’Eliseo si parla di ricostruzione e, quindi, dello sblocco di decine di miliardi di dollari di averi libici depositati da esponenti del regime in banche estere e ora congelati. Finora, solo tre tranches di 1,5 miliardi di dollari o di euro ciascuna sono state liberate da Usa, Francia e Gran Bretagna, mentre gli altri Paesi sono stati più reticenti. Per l’Italia, Berlusconi dice: “faremo il possibile per aiutare la Libia” e scongela beni per 500 milioni di euro. L’Ue toglie sanzioni contro 28 “entità economiche libiche”, fra cui porti, banche e aziende petrolifere.
In cambio, il Cnt s’impegna ad assegnare i contratti sul greggio senza favoritismi. La conferenza è anche una tappa della sfida per il petrolio e il gas libici: l’Italia, anche grazie agli accordi conclusi dall’Eni lunedì scorso a Tripoli, resta in prima fila, ma la Francia si sarebbe già aggiudicata il 35% delle risorse petrolifere del Paese ‘liberato’.
La corsa al ‘dopo Gheddafi’ tra Francia e Italia si disputa pure sul terreno diplomatico. Due giorni dopo la riapertura dell’ambasciata di Parigi a Tripoli, l’Italia nomina il nuovo ambasciatore, Giuseppe Buccino Grimaldi: da oggi, la bandiera tricolore tornerà a sventolare sull’ambasciata, dove c’è già un team di funzionari: “L’Italia manterrà quel che aveva: eravamo il primo partner economico bilaterale della Libia e lo resteremo”, assicura il ministro degli esteri Franco Frattini. Anche l’Ue ha riaperto mercoledì i propri uffici e ha in città una missione, guidata dall’italiano Agostino Miozzo, responsabile del coordinamento delle aree di crisi. E Ban Ki-moon dice che presto ne arriverà una dell’Onu.
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