Scritto per Il Fatto Quotidiano del 07/09/2011
Non è un detto biblico, ma Israele pare farne la divisa della propria politica estera, in questi primi giorni di un settembre di fuoco, con l’approdo all’Onu della questione del riconoscimento della Palestina come Stato. Il premier Netanyahu litiga con tutti, amici dichiarati o nemici presunti che siano. Ieri, la rottura con la Turchia ha visto un’escalation, con la ‘minaccia’ del premier Erdogan, appena definito dalla stampa israeliana “un anti-semita classico”, d’andare in visita a Gaza: è crisi diplomatica e militare, con quello che, fino a poco tempo fa, era l’interlocutore islamico privilegiato. E il progetto ventilato di rimpiazzare la partnership militare turca con quella greca non vale la candela sul piano strategico e non contribuisce di certo a distendere i toni. E mentre Abu Mazen conferma l’intenzione di sottoporre all’Onu il riconoscimento della Palestina, e la stampa egiziana propone un “Netanyahu Hitler”, i militari israeliani paventano “un inverno islamista”, dopo la primavera araba, e temono un conflitto “con l’islam radicale”. Che la corda sia tesa anche con Washington lo dimostra il giudizio dell’ex segretario alla difesa Gates, secondo cui Netanyahu “è un ingrato”. Certo, il governo israeliano si sente, come sempre, assediato sul fronte estero ed è contestato sul fronte interno: gli ‘indignados’ hanno ripiegato le loro tende, dopo la protesta record di quasi mezzo milione, ma sono sempre pronti a mobilitarsi. Che le tensioni internazionali siano utili a calmare il malessere sociale?
mercoledì 7 settembre 2011
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