Scritto il 04/09 per il blog de Il Fatto Quotidiano, non pubblicato
Sabato di fine vacanze. Racconto di come inefficienze e dabbenaggini possono trasformare una gita in un happening: da Roma a Ventotene e ritorno senza tuffo in mare, ma con full immersion nelle ultime battute di un seminario di giovani federalisti europei. Sull'isola, allora luogo di confino d'intellettuali antifascisti, esattamente 70 anni or sono Altiero Spinelli e il suo compagno di (s)ventura Paolo Rossi scrissero quel Manifesto divenuto poi documento di riferimento dell'integrazione europea. Partenza all'alba, in treno: 0627, per Formia, biglietti fatti via internet. Fila tutto liscio: convoglio in orario, vetture con aria condizionata. I problemi cominciano al molo dell'aliscafo: impossibile prenotare o acquistare online il biglietto per Ventotene, si fa la fila, ordinata, civile, neppure troppo sudata (e' ancora presto). "Buongiorno. Ventotene andata e ritorno". "Facciamo solo l'andata". E perche'? "Perche' e' cosi'". "Bene. E come faccio a essere sicuro che ci sia posto al ritorno?". "Appena arriva, vada alla biglietteria. Ma non si preoccupi: c'e' sempre posto". Io, tendenzialmente, mi preoccupo: sbarco dall'aliscafo e vado a fare la fila alla biglietteria, subito. L'attesa non e' lunga: "Buongiorno. Formia, 1640". "Adesso vendiamo solo i biglietti per le 1030. Aspetti". Mi faccio da un canto, aspetto. Passati trafelati gli ultimi passeggeri delle 1030, posso finalmente garantirmi il posto sull'aliscafo del pomeriggio. Arrivo un po' tardi al convegno, ma ho il biglietto in tasca. E li' trovo gente seria, che parla d'Europa con competenza e con passione, e giovani, tanti giovani, che ascoltano attenti e interessati. Valeva la pena esserci: respirare la speranza dell'integrazione, il coraggio dell'apertura, la voglia d'andare oltre gli egoismi nazionali. Un momento d'ottimismo quasi inebriante. Dev'essere l'aria di Ventotene, quella che ispiro' Spinelli, mentre altrove in Europa c'era la cappa della dittatura (e, ora, c'e' lo smog della paura). Quasi quasi, mi fermo qui.
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