Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/09/2011
“A parlarne da fuori, può parere una piccola cosa. Ma per chi ci vive lì, è un risultato importante, un’opportunità da cogliere, uno spiraglio da allargare”. Emma Bonino, vice-presidente del Senato e leader radicale, è una donna che conosce bene i problemi delle donne nel Mondo: lei che ha vissuto al Cairo, e ancora vi trascorre del tempo quando può, e che, da commissaria europea, tenne testa ai talebani in Afghanistan non storce la bocca, commentando per Il Fatto la decisione ieri annunciata dal re saudita Abdullah bin Abdul Aziz: le donne saudite entreranno nella Shura (il Consiglio consultivo, un Parlamento non eletto) dalla prossima sessione, cioè dal 2015, e potranno votare e candidarsi alle prime elezioni municipali dopo quelle del 29 settembre, ancora loro vietate, e che dovrebbero pure svolgersi nel 2015.
Re Abdullah ha spiegato la sua decisione proprio davanti alla Shura: "Dato che ci rifiutiamo d’emarginare le donne in tutti i ruoli della società che sono conformi alla sharia (la legge dell’Islam, ndr), abbiamo stabilito, dopo esserci consultati con i nostri consiglieri religiosi, … d’inserire le donne nella Shura a partire dalla prossima sessione".
L’annuncio ha avuto un enorme rilievo mediatico mondiale. E questa, per la Bonino, oltre che essere di per sé positivo, è “una garanzia”: “L’Arabia Saudita ha adesso puntati addosso gli occhi delle donne del Mondo, e non solo”. E il segnale che viene da Riad, per quanto parziale, modesto e non ancora soddisfacente, va al di là della penisola arabica e accresce le speranze di successo altrove, in altri Paesi, su altri fronti dei diritti negati.
La Bonino conferma che la notizia è giunta inattesa: non solo qui da noi, ma anche nel Golfo, dove –testimonia Emma, dopo molte telefonate con amiche e militanti- l’eccitazione è molta. “Qui da noi, siamo sempre bravissimi a scoprire le cose che tutti dovrebbero già sapere e a volere di più. C’è chi lamenta che le donne potranno votare e candidarsi ‘solo alle elezioni municipali’, ma in Arabia Saudita quelle municipali sono le uniche elezioni, perché il regime non è di per sé democratico; e c’è chi segnala che là le donne devono ancora andare in giro velate e non possono guidare. Eppure, bastava leggere ‘La ragazza di Riad’”, un libro di una giovane saudita, Rajaa al-Sanea, 25 anni, che denuncia l’oscurantismo del Regno e le umiliazioni delle donne.
Ma, adesso, le donne saudite sapranno “sfruttare l’occasione” che è loro data: la Bonino ne è sicura, ricordando “il fermento” che si poteva già cogliere nel Paese. “Chi vive lì e conosce problemi e situazioni capisce che questa può essere un’opportunità: saranno le stesse donne saudite a rivendicare maggiori spazi, ad esempio al momento di fare campagna elettorale. Come possiamo farla, se non possiamo guidare?, chiederanno; e come possiamo essere riconosciute?, se dobbiamo sempre essere velate”. Così, da una concessione, scaturiranno delle conquiste.
La strada è lunga. Domenica, Najalaa Harir, un’attivista che sfidò in tv il divieto di guidare, facendosi riprendere alla guida di un’auto a Jeddah, veniva interrogata dagli inquirenti, proprio mentre il re faceva il suo annuncio. Secondo il suo avvocato, la Harir sarà portata in giudizio: è una delle decine di saudite che partecipano alla campagna “Il mio diritto, la mia dignità”.
Che cosa può avere indotto il monarca saudita a prendere la decisione? “Ci si può certo leggere un altro frutto della Primavera Araba. Ma c’è ancora chi risponde alle proteste della sua gente sparandole addosso, mentre re Abdullah ha scelto di compiere un gesto di apertura. Meglio così, non c’è debbio”. Anche perché l’esempio saudita può contaminare altri Paesi del Golfo: le donne non godono dovunque dei diritti politici; in Kuwait, li hanno avuti solo quattro anni fa, malgrado la forte presenza occidentale in quello Stato liberato nel 1991 dall’occupazione irachena da una coalizione internazionale formatasi sotto l’egida dell’Onu e guidata dagli Usa.
L’Arabia Saudita è l’ultima frontiera del disagio femminile? “Ci sono Paesi in cui le donne stanno peggio: per esempio, dal punto di vista delle violenze che devono subire, l’Etiopia e anche il Sudan. E nella stessa Arabia Saudita c’è un problema di violenza domestica non ancora affrontato. E ci sono crudeltà come le mutilazioni genitali femminili che non sono state ancora debellate”. La strada dei diritti resta lunga, ma un passo è stato fatto.
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