Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/10/2010
Cinquanta e più governi, ma, in politica estera, una continuità assoluta, saldamente poggiata su due pilastri : l’alleanza atlantica, cioè l’amicizia con gli Stati Uniti, e l’ancoraggio al processo d’integrazione europea. L’Italia repubblicana non ha mai perso la bussola delle relazioni internazionali : i cambi di campo bruschi sono memoria del passato, l’imminenza dell’ingresso nella Grande Guerra e l’8 Settembre.
La costruzione europea ha contribuito alla crescita economica, ha offerto modelli sociali virtuosi. In cambio, ha richiesto rigore e sacrifici e ha preteso, ma non sempre ha ottenuto, il rispetto delle regole. L’amicizia americana ha garantito una sicurezza efficace a buon prezzo –pagava lo Zio Tom- nel lungo inverno della Guerra Fredda. In cambio, ci è costata qualche boccone amaro trangugiato, ad esempio in termini di rinuncia alla sovranità, e qualche silenzio su vicende scomode. Se ce lo fossimo mai scordati, le rivelazioni di questi giorni, via Wikileaks, sulla vicenda Calipari ce lo vengono a ricordare.
Adesso, in realtà, il rapporto potrebbe essere più paritario, meno succube: non perchè l’Italia possa mettersi alla pari degli Stati Uniti in termini di potenza economica o militare, ma perchè i mai da combattere insieme –la povertà, il riscaldamento globale, l’integralismo e il terrorismo- sono universali e non richiedono l’ala protettrice di una super-potenza. Ma, anche adesso, la storia va avanti. E, per assurdo, la ricerca della prova di amicizia con l’America è spesso stata più forte da parte dei governi di sinistra (ma quando mai?, di centro-sinistra), che dovevano cancellare il peccato originale dei comunisti al potere.
Una stretta di mano del presidente degli Stati Uniti, chiunque egli fosse, e un caffè alla Casa Bianca quasi non hanno prezzo, al borsino della diplomazia italiana. Cosi’, dalla strage del Cermis –20 morti per la bravata di un pilota cowboy americano, il 3 febbraio 1988- alla vicenda Calipari, dalle storie della Maddalena e della ‘Dal Molin’ al sequestro di Abu Omar, tutte storie di giustizie negate o parziali, di decisioni subite più che partecipate: vicende che iniziano con i Governi Prodi del 1996/’98 e attraversano i governi D’Alema, Amato, Berlusconi, ancora Prodi, ancora Berlusconi.
Per non parlare delle scelte più pesanti: il coinvolgimento d’alemiano –era il 1999- nella guerra contro la Serbia per il Kosovo e quelli berlusconiani nelle guerre di Bush, specie l’invasione dell’Iraq. Una sola cosa, forse, la sinistra ce l’avrebbe evitata, che Mr B ci ha propinato: la partecipazione all’avventura irachena, perchè li’, a fare da scudo, c’erano i no di Francia e Germania (e della Spagna di Zapatero, appena arrivo’ al potere dopo le stragi sui treni a Madrid dell’11 marzo 2004). Un’Italia di Prodi, c’è da scommetterci, sarebbe rimasta nel campo della Vecchia Europa di Chirac e Schroeder, invece di ritrovarsi con l’Europa ‘neo-con’ di Tony Blair e José Maria Aznar.
Adesso, dalla clessidra di Wikileaks, esce il granello delle pressioni esercitate dall’Amministrazione statunitense sul governo Prodi perché facesse "sapere"
ai giudici che le azioni sul campo di guerra "esulano" dalla loro "giurisdizione" (obiettivo, evitare l’incriminazione del marine Lozano, che uccise Calipari): un cablo racconta l'incontro del marzo 2007 tra l'ambasciatore d’Italia a Washington Castellaneta e l’allora vicesegretario di Stato John Negroponte. L’ambasciatore s’impegna a trasmettere il messaggio, ma non dà molte speranze che «il governo rallenti o blocchi il processo». Pochi mesi dopo, la Corte d'assise di Roma dichiarò non potersi procedere contro Lozano "per carenza di giurisdizione": decisione poi avallata in via definitiva dalla Cassazione. Codice alla mano, forse era giusto cosi’.
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