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mercoledì 1 dicembre 2010

Mr B - Obama, 22 mesi di gaffes e punture di spillo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 01/12/2010

E’ disseminato di sassolini, il cammino americano di Silvio Berlusconi, da quando alla Casa Bianca c’è Barack Obama. Ma non è una storia alla Pollicino: i sassolini, cioè, non servono a Mr B per (ri)trovare la strada del potere, ma gli finiscono dentro le scarpe e le rallentano. Prima, con George W. Bush, tutto filava liscio : i due, a dire il vero, non avevano (quasi) nulla in comune -vocazione da farmer l’americano, spirito gaudente l’italiano-, ma se la intendevano alla grande. Non c’era casa di George che Silvio non avesse visitato: la residenza ufficiale, al 1600 di Pennsylvania Avenue, a Washington, ovviamente ; e poi Camp David, la dimora fra le montagne del Maryland, dove erano ammessi solo gli amici ; e il ranch di Crawford in Texas, dove venivano accolti solo gli amici più amici.

I 22 mesi di Obama presidente sono stati, invece, una successione di incidenti di percorso, talora piccoli, talora sfortunati, talora politicamente insignificanti, specie rispetto ai grandi eventi (come il G8 dell’Aquila, per esempio). Ma le punture di spillo ripetute, alla lunga, non sono mai solo casuali. E Mr B, sinceramente, era proprio partito male, con quell’ ‘abbronzato’ dedicato al primo presidente nero americano. Che, dal canto suo, aveva fatto aspettare qualche giorno la prima telefonata dopo l’insediamento alla Casa Bianca, facendo passare l’Italia non solo dietro Cina e Russia o Gran Bretagna e Germania o India e Francia, ma anche la Corea e l’Egitto.

Oltre alle punture di spillo, ci sono pure stati segnali politici che non possono mica essere trascurati. Quando Obama ha voluto prendere un tè alla Casa Bianca con un personaggio italiano ed europeo autorevole e attendibile, ha invitato il presidente Giorgio Napolitano, non il premier (e non è che a Washington non sappiano che l’Italia non è una Repubblica presidenziale) –accadde il 25 maggio-.

E quando David Thorne, l’attuale ambasciatore degli Stati Uniti, arrivo’ a Roma, dopo l’interregno abbastanza lungo dell’incaricata d’affari Elizabeth Dibble, seguito alla partenza dell’ambasciatore di Bush Ronlad Spogli, il primo politico italiano che incontro’ fu Gianfranco Fini, nonMr B : puo’ non significare nulla, tanto più che allora –era l’11 settembre 2009- le cose tra Berlusconi e Fini andavano ancora benissimo (o, almeno, cosi’ pareva: non c’era segno di frizione).

E poi, sempre politicamente parlando, c’è stata l’accoglienza molto positiva riservata allo stesso Fini il 3 febbraio, quando a Washington venne ricevuto alla Casa Bianca dal vice di Obama Joe Biden e in Campidoglio dall’allora potentissima speaker della Camera Nancy Pelosi, una democratica della California di origini italiane.

Poi, ci sono gli episodi minori, che messi l’uno accanto all’altro fanno statistica (e una somma d’indizi puo’ diventare una prova). Un primo neo al Vertice del G20 negli Usa a Pittsburgh, nel settembre 2009 –erano passati appena due mesi dal Vertice dell’Aquila-: Mr B dimostra in modo plateale la propria ammirazione per Michelle e quasi infila il naso nella scollatura della first lady, sorprendendo lei e lasciando un po’ interdetto il marito.

Ad aprile, poi, Berlusconi resta ad attendere per un lasso di tempo indeterminato (40’, forse un’ora, a seconda delle fonti) sul marciapiede del Washington Convention Center, dopo una cena offerta dal presidente americano ai 46 capi di Stato e di governo che avevano partecipato al vertice sulla sicurezza nucleare. Per un disguido, l’auto di Mr B non arriva puntuale e il Secret Service impedisce al premier italiano di tornare a piedi il suo hotel: Silvio, abituato a farsi attendere più che ad attendere, è irritato, ma abbozza.

In maggio, Lanny Breuer, vice-segretario alla Giustizia degli Stati Uniti, con delega per la lotta alla criminalità organizzata, mette il dito nelle polemiche, che in Italia infuriano, contro la cosiddetta ‘legge bavaglio’ e fa l’elogio delle intercettazioni, che il governo italiano vuole limitare e che l’amministrazione statunitense –dice- giudica utilissime: «Non vogliamo che succeda niente che impedisca ai magistrati italiani di continuare a fare l’ottimo lavoro che hanno fatto finora» nella lotta contro la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra. Breuer, poi, tenta una marcia indietro imbarazzata e imbarazzante, ma il guaio l’ha fatto.

Certo, si poteva attribuire la gaffe di Breuer alla sua mancanza di esperienza diplomatica. Ma, adesso che Wikileaks ci ha fatto leggere alcuni messaggi sull’Italia ed il suo leader di diplomatici di professione, come la Dibble, o acquisiti, come Thorne, sappiamo che, quando si parla di Mr B, il linguaggio è sempre senza fronzoli e disinvolto: Thorne si lamenta, fra l’altro, dei ritardi nel bloccare la vendita all’Iran di 12 motovedette; e la Dibble descrive un premier vanitoso e festaiolo, tiratardi e, quindi, il giorno dopo, inefficiente.

Stati Uniti e Italia, la loro amicizia, la loro alleanza, non sono mica in discussione. E’ Mr B che l’America di Obama non capisce. O, forse, lo capisce proprio bene.

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