Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/08/2012
La Bundesbank alza le barricate contro un piano antispread della Banca centrale europea anticipato dalla stampa tedesca. E poco importa che la Bce ne minimizzi la portata e smentisca, soprattutto, d’avere deciso di fissare limiti allo spread, superati i quali l’Istituto di Francoforte procederebbe ad acquisti di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. La disputa, non inedita, raffredda le borse europee, che finiscono in rosso –Milano recupera un po’ nel finale e chiude a -1%-. Lo spread, sceso a 414, risale a 426.
L’inquietudine dei mercati è condivisa dalla politica. Il ministro dello sviluppo Corrado Passera giudica “incoerenti” le dichiarazioni che vengono da Berlino –e, in effetti, governo e Bundesbank non hanno sempre linguaggi analoghi-. Ma a turbare i mercati, in Italia , sono anche le dichiarazioni del premier Monti, domenica, e dello stesso ministro Passera, ieri, secondo cui saremmo vicini all’uscita dalla crisi. I sindacati e la gente non condividono l’ottimismo, Ma questa è un’altra storia e altri articoli.
Ad agitare le acque dell’euro, sonole indiscrezioni del settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui la Bce lavora al progetto di definire uno scarto limite dei tassi dei prestiti della Germania e dei Paesi in difficoltà come la Spagna e l’Italia e d’intervenire sui mercati quando tali scarti fossero superati. L’articolo è acidamente commentato dai portavoce della Banca: “E ingannevole annunciare decisioni che non sono state ancora prese”. Inoltre, la Bce nega di avere già acquistato obbligazioni la settimana scorsa.
Il confronto Bce-Bundesbank, che è poi un match tra i presidenti, Mario Draghi e Jens Weidman, riparte da dove l’avevamo lasciato il 2 agosto, dopo una riunione contrastata del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. Draghi non rinuncia ad armi anti-spread come l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Ma il progetto non piace proprio a Weidman: teme che comporti rischi eccessivi, anche se temperato da vincoli pesanti: il no ad azioni che possano andare a scapito del bilancio federale tedesco è secco. Lo stesso ministero delle finanze di Berlino definisce una manovra del genere da parte della Bce “molto problematica, dal punto di vista teorico”.
Lo scontro Bce-Bundesbank, che era rimasto un po’ in sordina per tre settimane, s’interseca, sull’agenda dei leader dell’Ue di questa settimana, con il problema greco. Emissari di Atene compiono missioni nelle capitali dell’Ue, latori di un messaggio chiaro: “Vogliamo restare nell’euro, ma vogliamo agevolazioni rispetto agli impegni già assunti”.
Atene è alle prese con tagli della spesa pubblica tra gli 11 e i 14 miliardi di euro –a quelli già previsti, si sarebbero aggiunti 2,5 miliardi- per restare nella moneta unica, ma, nonostante l’aumento dello sforzo, Berlino insiste sul mantenimento degli impegni. Il premier Antonio Samaras che deve andare nei prossimi giorni a Parigi e Berlino, manda avanti il ministro degli esteri Dimitrios Avramopoulos, che fa visita al collega tedesco Guido Westerwelle: Avramopoulos chiede che la Grecia sia valutata sui fatti e non sui tempi; Westerwelle, per tutta risposta, recita la sura che “la Grecia deve rimanere nell’euro”, ma non cede d’un centimetro sul resto (“un ammorbidimento degli accordi è impossibile”). E domani, ad Atene, sono attesi i presidenti dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e della Commissione europea José Manuel Barroso.
La Grecia fa fronte “senza problemi” al rimborso alla Bce di una quota di debito di 3,2 miliardi di euro: “Abbiamo i soldi”, dicevano ieri con sussiego i funzionari del ministero delle finanze. Ma non per questo i problemi sono finiti. Joerg Asmussen, il tedesco nel direttivo della Bce, aggiunge la sua voce al coro di quanti giudicano l’uscita di Atene dall’euro possibile e addirittura “gestibile”, per quando “estremamente costosa”, accompagnata “da un rallentamento della crescita e da un aumento della disoccupazione in Grecia, in tutta l’Europa e anche in Germania”.
Infine, uno sviluppo dalla Spagna: il premier Mariano Rajoy studia tagli delle pensioni e aumenti dell’Iva. I compiti fatti, evidentemente, non bastano. Anzi, economisti liberisti lo criticano sul Ft per non avere fatto ancora nulla, o almeno non abbastanza, e lo incitano ad agire.
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