Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/08/2012. L'intervista integrale su EurActiv dal 20/08/2012.
“In questa crisi, il dibattito politico è sempre più centrato sul futuro dell’Europa. Considero molto positivo vedere che in tutti i Paesi dell’Ue si discute su a che punto sia l’Europa e su che direzione debba prendere. Se dalla crisi è scaturito qualcosa di buono, è il fatto che sono sempre più numerosi i politici che capiscono che possiamo essere forti solo se siamo uniti. La giusta risposta alla crisi è più Europa, non meno Europa”.
Su questo punto, Viviane Reding, vice-presidente della Commissione europea, non ha incertezze. La Reding, lussemburghese, è l’elemento più esperto dell’équipe del presidente Barroso: oggi responsabile della giustizia, è al terzo mandato. Cominciò con Prodi presidente e Monti ‘compagno di banco’ nell’Esecutivo comunitario. Se nel 2014 una donna diventerà per la prima volta presidente della Commissione, lei, pure per dieci anni parlamentare europea, ha il profilo giusto.
“L’Europa –dice- ha una lunga storia di ricostruirsi e reinventarsi: questo è quel che noi facciamo, ci adattiamo, cresciamo, progrediamo; e questo ha finora reso il progetto europeo un successo. Ho un’idea chiara sul percorso negli anni a venire: se vogliamo preservare e rafforzare la posizione dell’Europa nel Mondo, dobbiamo trasformare la nostra Unione economica e monetaria in una forte Federazione politica europea, con un’Unione monetaria, di bilancio e bancaria che ricopra almeno l’Eurozona e che sia aperta agli Stati che vogliano unirvisi”.
La Reding è scettica sull’idea di un presidente della Commissione eletto a suffragio universale (crede che dovrebbe piuttosto essere eletto dal Parlamento). E, nell’ottica federalista, vede segnali positivi nelle conclusioni del Consiglio europeo di fine giugno Ma crisi e globalizzazione non mettono la democrazia a repentaglio? “Condividere e rendere federale la sovranità è l’unico modo per garantire i sistemi democratici di fronte a sfide globali sempre crescenti, come la crisi attuale e pure il cambiamento climatico”.
Però, l’Unione si muove con lentezza e fra divisioni… La Reding fa l’elogio dell’Italia e di Monti, spiega: “La crisi finanziaria e dei debiti sovrani in diversi Stati dell’Unione europea è una sfida senza precedenti, cui né le democrazie nazionali né la governance europea erano preparate. Benché abbia avuto origine negli Stati Uniti, la crisi ha colpito l’Europa molto più duramente dell’America” e ha avuto accenti diversi nei diversi Paesi. Alla luce dell’ampiezza dei problemi e della diversità degli impatti, “è notevole quanto è stato realizzato negli ultimi anni: noi europei abbiamo imparato una lezione importante, che avere una moneta unica significa essere vincolati in una comunità di destino, perché i problemi economici e di bilancio di un Paese possono diventare molto rapidamente i problemi di tutti gli altri Paesi nell’Eurozona”.
E, quindi, “dobbiamo combattere la crisi con misure comuni che portino con sé maggiore stabilità in ogni Paese dell’Eurozona; e dobbiamo integrarle con provvedimenti che garantiscano solidità ai Paesi in difficoltà mentre essi affrontano programmi di aggiustamento necessari ma dolorosi”.
Che cosa abbiamo concretamente fatto? La Reding elenca il Patto di Bilancio e il semetre europeo, ricorda le decisioni per la Grecia e per la creazione dei fondi salva Stati ed esalta il ruolo della Bce: “Non dobbiamo dimenticare che la Banca centrale europea, presieduta da novembre dal talentuoso Mario Draghi, ha fornito liquidità alle banche europee per oltre mille miliardi di euro e ha investito circa 211 miliardi nell’acquisto di titoli dei Paesi dell’Eurozona in difficoltà. I Paesi e le Istituzioni dell’Ue hanno fatto passi senza precedenti e coraggiosi a sostegno della stabilità dell’euro, nonostante non fossero attrezzati a farlo. La crisi ci ha spinto a prendere misure per mostrare al mondo che l’euro è irreversibile”.
Sì, ma non impieghiamo troppo tempo a decidere? “Tutto ciò richiede un forte impegno da parte degli Stati membri: quelli in difficoltà, che devono riformare in modo profondo le loro economie, e quelli non in difficoltà, che devono spiegare ai loro cittadini perché bisogna contribuire alla solidarietà europea. E poiché, fortunatamente, tutti gli Stati europei sono democrazie, è normale che mettersi d’accordo su misure del genere prenda tempo e che vi siano dibattiti politici e pure contrasti”.
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