Scvritto per Il Fatto Quotidiano del 15/08/2012
Vertice del mondo musulmano alla Mecca, il luogo sacro dell’Islam: obiettivo, mettere sotto ulteriore pressione il regime siriano. E’ pronta una sanzione poco significativa, la sospensione dall’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci). L’iniziativa è dell’Arabia saudita, che ospita l’evento e che intende così affermare la propria leadership sul mondo musulmano. Ma l’Iran non ci sta.
Proprio le divisioni fra i 57 Paesi dell’Oci, che rappresentano circa un miliardo e mezzo di persone, impediscono il varo di misure concrete ed efficaci. Lo si è capito dalla riunione preparatoria lunedì, a livello di ministri degli esteri: l’idea della sospensione è passata, ma tra contrasti e a maggioranza. Il presidente dell’Iran Ahmadinejad, alleato del regime del presidente al Assad, continua ad opporsi; e l’Algeria e altri Paesi hanno molto riserve. Riad denuncia la politica “della terra bruciata” fatta dal regime siriano, che “ignora le richieste del popolo”. Teheran afferma che “sospendere la Siria non significa favorire la soluzione del problema, ma eluderlo”.
Simbolico il luogo del Vertice; simbolico anche il momento scelto, la ‘notte del destino’, la notte più sacra del mese di digiuno del Ramadan; e poco più che simboliche le decisioni scaturite. La Siria non ha inviato propri rappresentanti a questa riunione (Damasco accusa l’Arabia saudita e il Qatar di armare gli insorti), cui neppure l’opposizione, però, è stata invitata. Al Assad ha invece spedito un proprio emissario in Cina: Pechino, come Mosca, mantiene il proprio veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a ogni ipotesi d’intervento militare in Siria, anche una semplice ‘no fly zone’, cioè, in pratica, l’interdizione all’uso dei mezzi aerei delle forze siriane.
I leader musulmani si riuniscono dopo l’ennesima giornata di combattimenti sanguinosi fra lealisti e ribelli, specie a Damasco e ad Aleppo. A Homs, un giornalista della tv iraniana sarebbe stato rapito da insorti. Secondo gli ultimi bilanci, la cui affidabilità è però relativa, le vittime delle violenze superano le 23mila dall’inizio dell’insurrezione, nel marzo del 2011. L’ex premier del regime Hijab, rifugiatosi ad Amman, afferma che il presidente al Assad “controlla appena il 30% del territorio”; e aggiunge che il regime “è ormai crollato militarmente, economicamente e moralmente”.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, incoraggiano la scelta della defezione da parte di altri responsabili militari e civili del gotha siriano. Mentre le Nazioni Unite ribadiscono la propria preoccupazione per il deteriorarsi della situazione umanitaria.
mercoledì 15 agosto 2012
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