Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/05/2013
L’Italia esce da dietro la lavagna dei
somari dell’Ue e torna a sedersi fra i banchi con i buoni allievi della classe
europea: non è più tempo di Piigs. La sentenza della Commissione di Bruxelles,
che chiude la procedura d’infrazione per deficit eccessivo, deve essere
avallata dall’Ecofin, il Consiglio dei Ministri delle Finanze dei 27, e
benedetta dal Vertice europeo, a fine giugno: passerà i controlli, ma è
accompagnata da commenti cauti e qualche riserva.
A decisione annunciata, il presidente
dell’Esecutivo comunitario Manuel Barroso e il responsabile degli affari
economico-finanziari Olli Rehn tirano il freno: Barroso invita l’Italia a non
rilassarsi, perché il debito resta molto alto e ha problemi di competitività
(“C’è un sacco di lavoro da fare”, avverte); e Rehn nota che le recenti
decisioni sul pagamento dei debiti della
P.A. con le imprese, riducono i margini di manovra per investimenti produttivi,
perché il deficit di bilancio si mantiene, nelle previsioni, sotto il 3%, ma
già lo sfiora al 2,9%. Pure Antonio Tajani, il commissario italiano, che
‘tweetta’ la notizia a riunione in corso, ammette che l’Italia ha solo
“superato gli scritti” e deve ancora “dare gli orali”.
Fuori contesto, parlando a Lussemburgo, il commissario all'energia
Guenther Oettinger, che non ha voce in capitolo, ma è tedesco e non è l’ultimo
venuto nel ‘team Barroso’, dice che l’Italia, come Bulgaria e Romania –che bella
compagnia!- è “quasi ingovernabile”. Le parole di Oettinger, che se la prende
pure con Francia e Gran Bretagna, rimbalzano, amplificate, sulla Bild tedesca e diventano un ‘j’accuse’: "Invece di
combattere la crisi economica e del debito, l'Europa celebra i riti del buonismo e si comporta come
un istituto di rieducazione".
E che cosa mai dovrebbe essere?, un carcere?
Ignorando Oettinger, da cui Berlino si dissocia, la Commissione, come previsto, dà l’ok alla chiusura
della procedura contro l'Italia (e altri quattro Paesi dell’Ue, ma non
dell’euro: Lettonia, Lituania, Ungheria e Romania), durante la riunione per varare
le raccomandazioni di bilancio e politica economico-finanziaria modulate per 23
Stati più la Croazia –Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro sono attualmente
sotto tutela Ue-.
La
procedura contro l’Italia risaliva al 2009, quando i conti
pubblici avevano sforato il tetto del 3% del rapporto deficit/pil previsto dai
parametri di Maastricht. La chiusura avviene perché il
deficit, secondo le attuali previsioni macroeconomiche, dovrebbe restare -
anche se di poco - sotto la soglia del 3% quest'anno e pure il prossimo. Nel
2014, il disavanzo dovrebbe oscillare tra l’1,8 e il 2,5%, lasciando, quindi,
margini d’investimento maggiori .
A
Palazzo Chigi, il premier Enrico Letta evita ogni trionfalismo: esprime “grande
soddisfazione” e rende l’onore delle armi al suo predecessore (“Il merito è del
Governo Monti”). Lui rinnova l’impegno “a rispettare gli obblighi assunti in sede
europea e ad applicare il programma”, sul quale gli è stata votata la fiducia.
Nel Parlamento europeo, il sospiro di sollievo è generalizzato, ma Gianni
Pittella, vice-presidente vicario, sottolinea: “Non è una panacea”.
L'Italia resta, del resto, una 'sorvegliata
speciale'. La Commissione rivolge precise raccomandazioni al Governo Letta: andare
avanti sulla strada delle riforme strutturali, migliorare il sistema
bancario, rendere più flessibile il
mercato del lavoro, spingere sulle liberalizzazioni, snellire la burocrazia e
riformare la giustizia civile per dare più certezza agli investitori.
Nel governo, tutti d’accordo: l’attenzione va alla crescita e all'occupazione,
alle spese strutturali e non a quelle correnti. Il ministro dello Sviluppo
Flavio Zanonato, a un Consiglio dell’Ue, dice che le raccomandazioni di
Bruxelles ricalcano il programma del governo. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi invita “a non ricominciare
a spendere oltre i limiti, ma a programmare investimenti”.
Fra tabnti echi positivi, a sorpresa borsa giù e spread su. Del resto, le cifre dicono che, nell'immediato, cambierà poco per la spesa
pubblica: al massimo, nel 2013, qualche investimento mirato. Il ‘tesoretto’
potrà forse saltare fuori nel 2014, se l’Italia non fa prima autogol.
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