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martedì 14 maggio 2013

Politica estera europea: pagella Ecfr; una sola sufficienza, Italia maluccio

Scritto per EurActiv il 14/05/2013

Da tre anni, prende costantemente la sufficienza piena in una sola materia, gestione delle crisi e negoziati multilaterali (un po’ come dire educazione fisica); e il voto non è da sballo, oscilla tra il 7- e il 6+ e va peggiorando. In tutte le altre materie, relazioni col resto dell’Europa, con Medio Oriente e Nord Africa, con Stati Uniti, Russia, Cina, i voti quest’anno vanno dal 5- al 6--. Roba da andare a settembre con due o tre crediti (Cina di sicuro, Medio Oriente e resto dell’Europa siamo lì), se servisse a qualche cosa. Perché il ragazzo è di quelli che rendono meno di quello che valgono; e che, quando c’è da darci dentro, si tira indietro.

Si parla –lo avrete capito- della politica estera dell’Unione europea, di cui, dal 2010, cioè da quando è nato, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Servizio europea di azione esterna (Seae), lo European Council on Foreign Relations pubblica una pagella: globale, dell’Ue, e pure nazionale, dei singoli Stati.
L’Italia non ne esce bene: 11.a pari merito nella classifica positiva dei Paesi leader su singoli fronti, nona pari merito nella classifica negativa dei Paesi che trascinano i piedi su singoli fronti; peggio, comunque, di Gran Bretagna, Francia, Germania e, ovviamente, della Svezia, che è un po’ la regina di questa classifica; meglio, se può consolare, della Spagna, che ne vien fuori malissimo, anche se l’ultima della classe è la Grecia.

La terza edizione del rapporto European Foreign Policy Scorecard, l’innovativa valutazione annuale e sistematica della performance dell’Ue in politica estera, realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo, è stata presentata lunedì 13 maggio nella Sala delle Bandiere della sede a Roma delle Istituzioni europee. Silvia Francescon, direttore dell’Ecfr di Roma, ha illustrato metodologia e caratteristiche dell’originale esercizio: 40 ricercatori; sei aree tematiche suddivise in 79 componenti; la categorizzazione degli Stati da leader a “quelli che trascinano i piedi”.

Costanti nello Scorecard dal 2010 sono alcune constatazioni: ad esempio, che  “la crisi finanziaria ha contribuito alla marginalizzazione, nelle capitali europee, delle questioni internazionali” ; e che  “l’Ue è più efficace quando agisce unita”. Se il 2011 era stato “un anno cruciale per il processo di integrazione europea”, tra crisi, importanti cambiamenti geopolitici –le Primavere arabe e la guerra in Libia- e nuovi equilibri,  nel 2012  “i leader europei hanno continuato a concentrarsi sul risanamento dell’economia interna più che sul rilancio dell’Europa sulla scena mondiale”.

Tra i trend più interessanti individuati dallo Scorecard 2013, la Francescon ha evidenziato il fatto che la crisi dell’euro continua ad avere un costo in termini di politica estera (Grecia e Spagna sono tra i Paesi che bloccano maggiormente la politica estera europea, insieme a Romania e Lettonia); che gli Stati piccoli contano sempre di più, come dimostrano, in particolare, le performances di Svezia e Olanda; e che emerge una sorta di coalizione dei tre Grandi (Gran Bretagna, Francia, Germania), pur con molti distinguo tra area ed area.

A discutere dei risultati dello Scorecard, dopo un’introduzione di Lucio Battistotti, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, il giornalista Stefano Polli, responsabile dell’Area internazionale dell’Agenzia Ansa, Agostino Miozzo, managing director for Crisis response presso il Seae, e il vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli. Molte le valutazioni critiche, specie sulla mancanza di una leadership chiaramente identificabile della politica estera europea, la cui figurab di punta appare più Mario Draghi che lady Ashton. Ma anche la considerazione comune –sintetizzata da Pistelli- che “un Mondo senza politica estera europea sarebbe un Mondo peggiore”. Se è vero oggi, lo sarà molto di più quando la politica estera europea sarà cresciuta e sarà divenuta robusta e concreta.

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