Da tre anni, prende costantemente la sufficienza piena in una sola materia, gestione delle crisi e negoziati multilaterali (un po’ come dire educazione fisica); e il voto non è da sballo, oscilla tra il 7- e il 6+ e va peggiorando. In tutte le altre materie, relazioni col resto dell’Europa, con Medio Oriente e Nord Africa, con Stati Uniti, Russia, Cina, i voti quest’anno vanno dal 5- al 6--. Roba da andare a settembre con due o tre crediti (Cina di sicuro, Medio Oriente e resto dell’Europa siamo lì), se servisse a qualche cosa. Perché il ragazzo è di quelli che rendono meno di quello che valgono; e che, quando c’è da darci dentro, si tira indietro.
Si parla –lo avrete capito- della politica estera dell’Unione europea, di cui, dal 2010, cioè da quando è nato, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Servizio europea di azione esterna (Seae), lo European Council on Foreign Relations pubblica una pagella: globale, dell’Ue, e pure nazionale, dei singoli Stati.
L’Italia non ne esce bene: 11.a pari
merito nella classifica positiva dei Paesi leader su singoli fronti, nona pari
merito nella classifica negativa dei Paesi che trascinano i piedi su singoli
fronti; peggio, comunque, di Gran Bretagna, Francia, Germania e, ovviamente,
della Svezia, che è un po’ la regina di questa classifica; meglio, se può
consolare, della Spagna, che ne vien fuori malissimo, anche se l’ultima della
classe è la Grecia.
La terza edizione del rapporto European
Foreign Policy Scorecard, l’innovativa valutazione annuale e sistematica
della performance dell’Ue in politica estera, realizzata con il sostegno della Compagnia
di San Paolo, è stata presentata
lunedì 13 maggio nella Sala delle Bandiere della sede a Roma delle Istituzioni
europee. Silvia Francescon, direttore dell’Ecfr di Roma, ha illustrato
metodologia e caratteristiche dell’originale esercizio: 40 ricercatori; sei
aree tematiche suddivise in 79 componenti; la categorizzazione degli Stati da
leader a “quelli che trascinano i piedi”.
Costanti
nello Scorecard dal 2010 sono alcune constatazioni: ad esempio, che “la crisi finanziaria ha contribuito alla
marginalizzazione, nelle capitali europee, delle questioni internazionali” ; e
che “l’Ue è più efficace quando agisce
unita”. Se il
2011 era stato “un anno cruciale per il processo di
integrazione europea”, tra crisi, importanti cambiamenti geopolitici –le
Primavere arabe e la guerra in Libia- e nuovi equilibri, nel 2012 “i leader europei hanno continuato
a concentrarsi sul risanamento dell’economia interna più che sul rilancio
dell’Europa sulla scena mondiale”.
Tra i trend più interessanti individuati dallo Scorecard 2013, la
Francescon ha evidenziato il fatto che la
crisi dell’euro continua ad avere un costo in termini di politica estera
(Grecia e Spagna sono tra i Paesi che bloccano maggiormente la politica estera
europea, insieme a Romania e Lettonia); che gli Stati piccoli contano sempre di più, come dimostrano, in
particolare, le performances di Svezia e Olanda; e che emerge una sorta di
coalizione dei tre Grandi (Gran Bretagna, Francia, Germania), pur con molti
distinguo tra area ed area.
A discutere dei risultati dello Scorecard,
dopo un’introduzione di Lucio Battistotti, direttore della Rappresentanza in
Italia della Commissione europea, il giornalista Stefano Polli, responsabile
dell’Area internazionale dell’Agenzia Ansa, Agostino Miozzo, managing director
for Crisis response presso il Seae, e il vice-ministro degli Esteri Lapo
Pistelli. Molte le valutazioni critiche, specie sulla mancanza di una leadership
chiaramente identificabile della politica estera europea, la cui figurab di punta appare più Mario Draghi che lady Ashton. Ma anche la
considerazione comune –sintetizzata da Pistelli- che “un Mondo senza politica
estera europea sarebbe un Mondo peggiore”. Se è vero oggi, lo sarà molto di più
quando la politica estera europea sarà cresciuta e sarà divenuta robusta e
concreta.
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