Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 31/05/2013
C’è un’Europa che fa cabotaggio di porto
in porto, cioè di Vertice in Vertice: che prova a lasciarsi alle spalle la
crisi e vorrebbe puntare su crescita e lavoro, ma che si sente vincolata al
risanamento ed al rigore. E c’è un’Europa che si dice pronta a prendere il
largo in mare aperto, facendo rotta su mete lontane, anche se il mare resta
grosso e lo scafo, uscito squassato dal fortunale, avrebbe bisogno di rattoppi.
Quale delle due Europe riuscirà ad
andare più lontano, è difficile ora dirlo. Quella del cabotaggio rischia poco,
ma va avanti piano; e l’equipaggio a bordo, già provato da privazioni e
sofferenze, manca d’entusiasmo. Quella del mare aperto può prendere velocità,
se s’alza il vento, ma è tutta sinistri scricchiolii; e l’equipaggio è bianco di
paura.
L’Europa del cabotaggio era oggi di
scena a Roma, dove il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha
avuto incontri istituzionali e un colloquio col premier Enrico Letta. L’Italia –dice
Letta- vuole mettere in campo misure per la crescita e per l'occupazione dei
giovani, ma stando "entro le regole di bilancio che ci siamo dati" a
livello europeo, cioè non sforando il 3% del deficit. L’Unione –dice Van
Rompuy- non si sente più minacciata, perché la fiducia dei mercati è tornata,
ma resta “fondamentale” perseguire il risanamento dei conti: l’Italia deve andare
avanti “sulla via delle riforme e della crescita”.
Messaggi di per sé contraddittori, non
tra di loro, ma ciascuno al proprio interno. Van Rompuy e Letta guardano
entrambi al Vertice europeo di fine giugno, preparano l’uno un piano europeo
sull'occupazione giovanile in cinque punti, l’altro un piano nazionale. Ma
entrambi sanno di non avere i mezzi per realizzarli, nell'attuale contesto dei
bilanci e delle strategie europee.
L’Europa del mare aperto era di scena
ieri a Parigi, dove il presidente francese François Hollande e la cancelliera
tedesca Angela Merkel mettono anch'essi la prua su crescita e occupazione,
senza però preoccuparsi delle contraddizioni tra rigore e crescita, ma progettando
un balzo in avanti istituzionale verso un “governo di Eurolandia” i cui poteri
e la cui forma restano da definire.
Forse, è solo un modo di aprire un nuovo
cantiere e, quindi, di prendere tempo, in attesa che il voto in Germania il 22
settembre liberi la Merkel da condizionamenti politici a breve termine. Ma c’è
almeno una prospettiva di rafforzamento dell’integrazione che rianima gli
europeisti superstiti, pronti a
sostenere l’appello di Jacques Delors e Gerhard
Schroeder: “Cara Merkel, aiuta l’Europa” ed a chiedere che il Parlamento
europeo che uscirà dalle elezioni del maggio 2014 abbia la funzione di
“convenzione costituente” per l’Unione politica.
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