Scritto per AffarInternazionali.it e pubblicato pure su EurActiv.it il 20/04/2012
L’ultimo miglio della campagna elettorale pare in discesa per François Hollande, candidato socialista, favorito nei sondaggi nelle presidenziali francesi (primo turno, domenica 22 aprile; ballottaggio, domenica 6 maggio). Elisabeth Guigou, ministro degli affari europei, della giustizia, degli affari sociali, quand’era presidente François Mitterrand e poi nei ‘governi della coabitazione’ di Lionel Jospin, non mostra dubbi: Hollande vincerà perché la crisi affossa alle urne chi è al potere; e Nicolas Sarkozy perderà perché le cose in Francia si sono degradate indipendentemente dalla crisi. La Guigou, a Roma, tasta il polso al governo e misura il sostegno della sinistra: una volta eletto –dice, Hollande farà la prima visita ad Angela Merkel, “perché il tandem franco-tedesco è importante e perché ci sono cose che vanno chiarite”. Ma il rapporto con la Germania non sarà esclusivo e sarà piuttosto ispirato alla relazione tra Mitterrand e il cancelliere Kohl, al desiderio di orientare le scelte dei partner senza imporsi loro. “E l’intesa franco-italiana sarà forte, in Europa come pure nel Mediterraneo”.
L’Unione europea vive la vigilia delle presidenziali in Francia in una sorta di limbo istituzionale. Fatto il Patto di Bilancio, i cantieri in corso sono stati provvisoriamente chiusi. Ma qualcosa si prepara a Bruxelles (e potrebbe essere qualcosa di grosso), per il dopo 6 maggio. La cancelliera tedesca, profittando dell’eclissi dell’ ‘amichetto’ suo francese, e fors’anche per attenuare l’immagine da strangolatrice delle economie più dissestate, s’è portata avanti con proposte sorprendenti d’avanzamento istituzionale dell’integrazione, come l’elezione a suffragio universale del presidente della Commissione europea. E lo stesso Sarkozy aveva già messo in tavola le sue idee di sovranità condivisa tra poteri legislativi Ue e nazionali, mentre i federalisti italiani e tedeschi hanno lanciato un appello per l’Unione politica che è stato sottoscritto pure da Jacques Delors, l’artefice dell’ultimo grande balzo in avanti istituzionale dell’Unione tra gli Anni Ottanta e Novanta.
In Italia, il Governo è ancora troppo impegnato a evitare il naufragio del Paese per concentrarsi sul rilancio dell’Europa, ma Mario Monti ha già dimostrato, con la lettera sul completamento del mercato unico, di sapere coagulare, intorno alle sue convinzioni liberiste e mercantiliste, molti leader, anche fra i meno inclini all’integrazione come il premier britannico David Cameron. Non è la cosa che ha meglio impressionato Hollande. Ancora la Guigou: “Sul piano europeo, Monti ha fatto proposte precise che condividiamo sui project bonds e sulla tassa sulle transazioni finanziarie, mentre la lettera per il completamento del mercato interno era interessante, ma discutibile per l’impostazione troppo liberista senza riferimenti all’armonizzazione fiscale e agli aspetti sociali … Questo, però, non vuol dire che la Francia di Hollande sarebbe contro l’approfondimento del mercato unico”.
Certo, l’impressione è che i Grandi dell’Unione preferiscano avere a che fare, dopo il 6 maggio, con chi già conoscono bene, Sarkozy, piuttosto che con l’oggetto relativamente misterioso Hollande: con il primo, il discorso potrebbe ripartire da dove era arrivato al Vertice europeo del 1.o marzo; con il secondo, si rischia un ritorno alla casella di partenza stile gioco dell’oca, perché il socialista vuole rinegoziare il Patto di Bilancio. “Hollande –dice la Guigou- affronta il problema europeo dal punto di vista della crescita e ha avuto il merito di metterlo al centro della campagna elettorale … Se non c’è crescita, il Patto di Bilancio non sarà rispettato, non potrà mai essere applicato”.
A denunciare un complotto ‘anti-Hollande’ dei leader europei, era stato, il mese scorso, il settimanale tedesco Der Spiegel: i capi di Stato o di governo conservatori dei Paesi Ue avrebbero convenuto di non ricevere, durante la campagna elettorale, il candidato socialista. Imbarazzati dalle polemiche suscitate dall’ipotesi dell’esistenza di un fronte europeo per le elezioni presidenziali in Francia, i leader chiamati in causa avevano tutti smentito di essersi coalizzati, seppur tacitamente, per boicottare colui che potrebbe divenire il 6 maggio il loro interlocutore nei Consigli europei. E le fonti di Palazzo Chigi avevano bollato come “una fantasia totale” l’articolo tedesco.
Di fatto, però, Hollande non l’ha ricevuto nessuno. E nessuno dei presunti ‘carbonari’ ha negato le proprie affinità col presidente francese in esercizio, a caccia di un rinnovo del mandato. Il britannico Cameron ha augurato “buona fortuna” all’inquilino dell’Eliseo, già dimentico dello screzio al Vertice europeo del 30 gennaio, quando i due s’erano incrociati a riunione conclusa e il francese non aveva stretto la mano tesagli dall’inglese. Cameron ha pure spiegato che “non è consuetudine vedere i candidati durante la campagna” (ma il suo predecessore Tony Blair, un laburista, per quanto anomalo, ricevette Sarkozy prima delle elezioni del 2007). I portavoce della Merkel, che ha pubblicamente appoggiato Sarkozy e s’è rifiutata d’incontrare Hollande, hanno ricordato che il candidato socialista era stato in Germania nel 2011 ed aveva dato il proprio sostegno all’opposizione social-democratica, auspicando “un nuovo governo” dopo il voto tedesco del 2013: insomma, occhio per occhio, dente per dente. Quanto al capo del governo spagnolo Mariano Rajoy, una sua dichiarazione è stata d’un candore disarmante: “Tutti sanno chi io voglia che vinca le elezioni in Francia, perché io e lui militiamo nello stesso partito”, quel Partito popolare europeo dove, con Sarkozy e Rajoy, c’è pure la Merkel. Monti no, anche perché lui, finora, in un partito non ci sta.
A scandalizzare, o almeno a preoccupare, i Grandi europei, è proprio l’intenzione manifesta di Hollande di rinegoziare, se eletto, il Patto di Bilancio appena concluso e in corso di ratifica, per integrarlo con misure che favoriscano la crescita: il Patto è considerato una pietra angolare del salvataggio della zona euro e ridiscuterne potrebbe equivalere a riaprire il vaso di Pandora. “Ma come – debbono essersi detti la Merkel e Monti-, abbiamo fatto tanta fatica per arrivarci e quello vuole subito smontarcelo?”. Se la molla fosse solo questa, però, Rajoy, che ha già detto che quel Patto la sua Spagna non potrà rispettarlo, e Cameron, che se n’è addirittura tenuto fuori, non sarebbero della ‘combine’ anti-Hollande. Negata, del resto, e non poteva essere diversamente, dallo stesso Sarkozy: “Mai parlato del mio avversario con i leader europei”, il complotto non esiste.
C’è pure il fattore continuità, per cui –come ha spiegato all’Afp il ricercatore britannico Maurice Fraser, Chatam House- “il presidente in carica beneficia sempre, nell’opinione generale, di un vantaggio di credibilità, perché ha dalla sua l’esperienza” e, forse, soprattutto il fatto di essere ormai noto ai partner: “Meglio il diavolo che già conosci”, recita un detto anglosassone. Un fattore, questo, che può giustificare un’inclinazione ‘pro Sarkozy’ dell’Amministrazione americana di Barack Obama, che in quanto democratico dovrebbe non essere ostile a Hollande. Il candidato socialista, dal canto suo, fa spallucce: il presidente lo scelgono i cittadini francesi, mica i leader stranieri; e, una volta che un presidente è eletto, i suoi nuovi ‘pari’ s’affrettano a mandare messaggi di congratulazioni e a organizzare la collaborazione. Come testimonia, sempre in una dichiarazione all’Afp, il ricercatore tedesco Hentik Uterwedde, dell’Istituto di Ludwigsburg: “L’influenza della Merkel sulla scelta dei francesi è vicina a zero”: dopo il voto, la Merkel e Hollande, se sarà lui in vincitore, “si affretteranno a collaborare”.
Da questo punto di vista, conta di più, rispetto alle dichiarazioni di voto di Angela e Mario, David e Mariano, quella di Jacques, soprattutto se si tratta dell'ex presidente francese Chirac: lui e la sua famiglia voteranno Hollande, afferma il quotidiano Le Parisien. "Voterò Hollande", avrebbe detto e ripetuto Chirac, davanti alle telecamere nella Correze, il dipartimento di cui è originario, nel centro della Francia. Claude, la figlia, avrebbe persino pranzato con la giornalista Valerie Trierweiler, la compagna del candidato socialista. E diversi collaboratori dell’ex presidente erano al comizio di Hollande domenica a Vincennes. Del clan Chirac, solo la moglie, Bernadette, continuerebbe a preferire Sarkozy.
Se la freddezza verso Hollande di popolari e conservatori non può stupire, ci si può piuttosto interrogare sul sostegno relativamente tiepido dei socialisti europei. Massimo D’Alema, che a metà marzo a Parigi partecipava a un meeting pro Hollande, ebbe un moto di nevosismo, quando un gruppo di deputati italiani del Pd gli chiese di non sostenere Hollande, la cui storia di funzionario di partito senza carisma è difficilmente cancellabile dalla memoria, ma piuttosto il centrista François Bayrou: “E una scelta che non tocca ai democratici italiani”, aveva ribattuto.
Perché Hollande appaia “un candidato senza sapore”, lo spiega Olivier Passeri, nel lead del suo articolo sull’ultimo numero della newsletter Gazebos: “Il campione della ‘sinistra morbida’, secondo Martine Aubry, che ironia della sorte potrebbe essere il suo primo ministro –dopo essere stata sua rivale nelle primarie, ndr-, ha molto da fare per compattare tutte le sinistre che si sono espresse … nella campagna elettorale. La “sinistra dura” appunto della Aubry, quella deglobalizzatrice di Arnaud Montebourg ma sopratutto quella rivoluzionaria e perentoria di Jean-Luc Mélenchon. Davanti a questo grattacapo Hollande ha scelto: essere il più vago possibile e promettere anche quando sa che il principio di realtà lo raggiungerà subito dopo la corsa per l’Eliseo. A questo gioco, le contraddizioni diventano numerose”. E gli entusiasmi s’appannano.
Ma la Guigou passa la spugna sulle percezioni polemiche e parla di “solidarietà totale della sinistra europea” ad Hollande, anche perché c’è l’attesa e la speranza che una vittoria dei socialisti in Francia apra la via a una stagione di successi della sinistra in Europa nelle elezioni del 2012, tra l’altro in Italia e in Germania. Sarà un Sarà un funzionario di partito senza carisma a rovesciare gli equilibri d’un’Europa “a destra tutta”? I sondaggi dicono di sì; gli elettori lo diranno il 6 maggio. Ma il premier di Sarkozy François Fillon è già certo del verdetto come la Guigou: il presidente è spacciato, dice in un incauto ‘fuori onda’, perché la crisi è un moloch che reclama il sacrificio dei governi.
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