Scritto per L'Indro il 19/04/2012
L’Unione europea vive la vigilia delle presidenziali in Francia in una sorta di limbo istituzionale. Fatto il Patto di Bilancio, i cantieri in corso sono stati provvisoriamente chiusi. Ma qualcosa si prepara a Bruxelles (e potrebbe essere qualcosa di grosso), per il dopo 6 maggio, la data del ballottaggio. La cancelliera tedesca Angela Merkel, profittando dell’eclissi elettorale dell’ ‘amichetto’ suo francese, e fors’anche per attenuare l’immagine da strangolatrice delle economie più dissestate, s’è portata avanti con proposte sorprendenti d’avanzamento istituzionale dell’integrazione europea, come l’elezione a suffragio universale del presidente della Commissione europea. In attesa di sapere se dovrà discuterne con Nicolas o con François. E lo stesso Sarkozy aveva già messo in tavola le sue idee di sovranità condivisa tra poteri legislativi Ue e nazionali, mentre i federalisti italiani e tedeschi hanno lanciato un appello per l’Unione politica che è stato sottoscritto pure da Jacques Delors, l’artefice dell’ultimo grande balzo in avanti istituzionale dell’Unione tra gli Anni Ottanta e Novanta. In Italia, il Governo è ancora troppo impegnato a evitare il naufragio del Paese per concentrarsi sul rilancio dell’Europa, ma Mario Monti ha già dimostrato, con la lettera sul completamento del mercato unico, di sapere coagulare, intorno alle sue convinzioni liberiste e mercantiliste, molti leader, anche fra i meno inclini all’integrazione come il premier britannico David Cameron. Certo, l’impressione è che i Grandi dell’Unione preferiscano avere a che fare, dopo il 6 maggio, con chi già conoscono bene, Sarkozy, piuttosto che con l’oggetto relativamente misterioso Hollande: con il primo, il discorso potrebbe ripartire da dove era arrivato al Vertice europeo del 1.o marzo; con il secondo, si rischia un ritorno alla casella di partenza stile gioco dell’oca, perché il socialista vuole rinegoziare il Patto di Bilancio. ... Se la freddezza verso Hollande di popolari e conservatori non può stupire, ci si può piuttosto interrogare sul sostegno relativamente tiepido dei socialisti europei. Massimo D’Alema, che a metà marzo a Parigi partecipava a un meeting pro Hollande, ebbe un moto di nevosismo, quando un gruppo di deputati italiani del Pd gli chiesero di non sostenere Hollande, la cui storia di funzionario di partito senza carisma è difficilmente cancellabile dalla memoria, ma piuttosto il centrista François Bayrou: “E una scelta che non tocca ai democratici italiani”, aveva ribattuto. Perché Hollande appaia “un candidato senza sapore”, lo spiega Olivier Passeri, nel lead del suo articolo sull’ultimo numero della newsletter Gazebos: “Il campione della ‘sinistra morbida’, secondo Martine Aubry, che ironia della sorte potrebbe essere il suo primo ministro –dopo essere stata sua rivale nelle primarie, ndr-, ha molto da fare per compattare tutte le sinistre che si sono espresse … nella campagna elettorale. La “sinistra dura” appunto della Aubry, quella deglobalizzatrice di Arnaud Montebourg ma sopratutto quella rivoluzionaria e perentoria di Jean-Luc Mélenchon. Davanti a questo grattacapo Hollande ha scelto: essere il più vago possibile e promettere anche quando sa che il principio di realtà lo raggiungerà subito dopo la corsa per l’Eliseo. A questo gioco, le contraddizioni diventano numerose”. E gli entusiasmi s’appannano.
giovedì 19 aprile 2012
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