Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/04/2012
George W. Bush, che aveva la cultura del cow-boy, chiamava i suoi finanziatori ‘pioneers’, pionieri, e ‘rangers’, a seconda di quanti soldi gli avevano offerto; e li premiava, una volta conquistata la presidenza, con un’ambasciata di loro gradimento: arrivarono così in Italia Mel Sembler dalla Florida e Richard Spogli dalla California, uomini d’affare di mestiere, diplomatici a tempo perso, ambasciatori degli Stati Uniti in Italia per pratica simoniaca. Negli Usa, il finanziamento dei candidati da parte di lobbies e corporations è prassi diffusa e accettata (quest’anno, addirittura, facilitata rispetto al passato); e anche la ricompensa – posti nell’Amministrazione o, appunto, ambasciate – non fa scandalo.
Anche perché tutto, o almeno molto, è dichiarato, pubblico. Per Usa 2012, fra i dieci maggiori sostenitori finanziari di Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, milionario del suo e ormai certo dell’investitura a candidato repubblicano alla Casa Bianca, vi sono la Goldman Sachs al primo posto –e dire che il presidente democratico Barack Obama la salvò con mezza Wall Street dal fallimento, proprio all’inizio del suo mandato- e poi il gruppo Crédit Suisse, Morgan Stanley, Hig Capital, Barclays, Kirkland & Ellis, Bank of America, Price WaterHouse Coopers, Emc Corp. Insomma, il gotha della finanza a stelle e strisce, che fa una scelta di campo precisa.
Dalla parte di Obama, invece, l’industria della comunicazione, dello spettacolo e della cultura: nella hit parade Microsoft, Comcast, Google, Time Warner e le Università di California, Harvard, Stanford. Ma presidente e sfidante sono diversi soprattutto per la natura dei finanziamenti: il presidente riempie le casse al 50% con i contributi dei cittadini e per il resto con quelli dei grandi donatori; lo sfidante s’affida al 90% all’impresa e alla finanza.
Una distinzione netta e destinata a confermarsi nei prossimi mesi, anche se Romney cercherà di rendere più capillare la rete di raccolta e Obama giocherà le sue carte –ad esempio- nei settori dell’energia e della ‘green economy’, finora poco attivi. Capita pure, quando le cose sono molto incerte, o - al contrario - prendono un indirizzo ben preciso, che i grandi finanziatori del candidato votato alla sconfitta riequilibrino un po’ la loro posizione, per stornare da sé l’ostilità vendicativa della Casa Bianca. Così, la Goldman Sachs, che sta al primo posto fra i finanziatori di Romney, era al 19° fra quelli di Obama qualche settimana or sono.
Posizioni che, naturalmente, variano a ogni rilevamento della Commissione elettorale federale, cui, a fine mese, i candidati devono sempre fare rapporto su quanto hanno ricevuto e da chi e su quanto hanno speso e come. I Luzi e i Belsito d’America se lo sognano il lassismo di rendicontazione all’italiana.
Anche i super-biscazzieri scendono in campo: a sostenere le aspirazioni presidenziali di Newt Gingrich, è stato soprattutto Sheldon Adelson, uno degli uomini più ricchi d’America, proprietario di casino a Las vegas e altrove e da molto tempo amico e sostenitore del politico georgiano. Milioni buttati, come una puntata alla roulette.
sabato 14 aprile 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento