Scritto per Il Fatto Quotidiano del 04/04/2012
Il presidente ostenta fiducia: la Corte Suprema degli Stati Uniti avallerà la sua riforma sanitaria, anche perché –dice la Casa Bianca- rovesciandola i giudici si metterebbero contro il Congresso, con un gesto “senza precedenti” nello storia americana “di attivismo giudiziario”. Però, dopo le ultime udienze, la sorte della misura faro dell’Amministrazione Obama appare appesa al giudizio più che della Corte nel suo insieme di un singolo giudice, perché gli altri otto appaiono schierati lungo linee ideologiche e politiche: contro i quattro conservatori di nomina repubblicana; a favore, i quattro progressisti di nomina democratica. In mezzo, c’è Anthony Kennedy, ago della bilancia ormai consueto nelle sentenze della Corte che suscitano confronti ideologici, abituato a stare ora con gli uni e ora con gli altri.
Il giudice Kennedy, un omone dal viso rotondo e lo sguardo sereno, 76 anni –i membri della Corte Suprema degli Stati Uniti sono nominati a vita: possono decidere di dimettersi, ma non possono essere cacciati-, venne nominato da un presidente repubblicano, Ronald Reagan nel 1988. Ma non è mai stato uno ligio alla consegna. Ed è lui che spesso determina l’esito delle votazioni più controverse, quelle che finiscono 5 a 4, anche se proprio non gli piace essere considerato uno ‘swing vote’, un voto ballerino.
Eppure le cifre stanno lì a indicarlo; e le critiche dei conservatori che gli danno del traditore pure. Su 23 casi recenti in cui la Corte s’è pronunciata 5 a 4, Kennedy è stato decisivo 18 volte. Di quei 23 casi, 16 vennero giudicati lungo linee strettamente ideologiche: Kennedy stette 11 volte con i conservatori, 5 con i liberals. Aborto, religione, pena di morte e pure diritti degli omosessuali sono i terreni su cui il ‘giudice girella’ si discosta più spesso dal suo campo.
E’ questo che rende ottimisti Obama e i democratici, sulla sorte della riforma sanitaria? Durante le udienze della scorsa settimana, Kennedy ha posto domande che lasciavano trasparire numerose riserve. E una bocciatura della riforma smantellerebbe il maggior risultato di politica interna del quadriennio Obama, segnando un arretramento del potere federale e compromettendo l’immagine del presidente che, invece, negli ultimi sondaggi, appare in grado di sbarazzarsi senza troppi problemi dell’avversario repubblicano, quale che sia, nelle elezioni presidenziali del 6 novembre.
L’attesa della sentenza durerà fino a giugno, come le primarie per designare il candidato repubblicano. Ieri, s’è votato nel Wisconsin, nel Maryland e a Washington. Il moderato mormone Mitt Romney s’è presentato agli scrutini, che assegnano 95 delegati alla convention di Tampa a fine agosto, forte di 572 delegati, cioè
la metà esatta dei 1144 necessari per la nomination. Rick Santorum, integralista cattolico d’origine italiana, con 272 delegati, è staccato. Newt Gingrich, ex speaker della Camera, ne ha 135. Il libertario Ron Paul 51.
I voti di ieri consentiranno a Romney di consolidarsi come battistrada, ma non sbloccheranno lo stallo. Santorum ha di fronte un mese di aprile difficile, ma punta su maggio, quando si pronunceranno il Texas e altri Stati d’impronta conservatrice.
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