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mercoledì 25 aprile 2012

Ostaggi: Italia, prima la vita, poi i principi, e così pagando

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/04/2012

Staffan de Mistura, sotto-segretario agli esteri, ne ha viste e passate un sacco, nella sua lunga e varia carriera di alto funzionario delle Nazioni Unite, dal Kossovo all’Iraq passando per il Libano: non ha il linguaggio reticente dei diplomatici mestieranti. Parlando a un convegno a Roma, nel giorno che gli ostaggi italiani si sono ridotti a due –poi ci sono i marò, ma quella è tutt’altra storia-, de Mistura teorizza i diversi approcci occidentali alla soluzione dei sequestri: da una parte, gli anglosassoni, americani e britannici; dall’altra, gli italiani e gli spagnoli. Per americani e britannici, quel che conta è il principio: il terrorismo non paga, quindi con i rapitori non si negozia. Per italiani e spagnoli, quel che conta è la salvezza dell’ostaggio e, quindi, si tratta –vallo a dire alla famiglia di Moro, ma anche quella era un’altra storia-. E i francesi? A parole, stanno con gli americani; nei fatti, si arrangiano pure loro e negoziano. E chi tratta paga, salvo poi cercare di tenere ben celato il segreto di cosa e quanto.

Dopo la doccia fredda in febbraio della mancata liberazione di Rossella Urru e dopo la tragedia di Franco Lamolinara, l’ingegnere di Gattinara ucciso in Nigeria durante un blitz lanciato per liberarlo delle forze speciali inglesi e locali –morì ammazzato pure un compagno di prigionia britannico-, la tattica italiana ha raccolto successi: aprile è stato il mese del ‘libera tutti’, Paolo Bosusco, guida e amante dell’avventura, in India, nell’Orissa; Maria Sandra Mariani, turista fiorentina di 53 anni, rimasta per oltre un anno nelle mani dei suoi rapitori nel Sahara islamico; infine i sei marittimi italiani della ‘Enrico Ievoli’, sequestrata il 27 dicembre al largo dell’Oman e ora in navigazione dalle coste della Somalia verso l’Italia, con l’intero equipaggio libero.

Prigionieri restano solo la Urru, una cooperante sarda di 30 anni, rapita nel Sud dell’Algeria in ottobre, e Giovanni Lo Porto, un cooperante siciliano, catturato in gennaio con un tedesco nel Punjab, in Pakistan. E poi ci sono i marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due militari italiani detenuti in India, nel Kerala, perché sospettati di avere ucciso il 15 febbraio due pescatori indiani scambiati per errore per pirati. Loro, però, non sono ostaggi: sono nelle mani della giustizia di un Paese democratico, anzi della maggiore democrazia di questo Mondo.

Anche per loro, le ultime 48 ore hanno portato un clima più sereno e spiragli di ottimismo: prima,
la Corte Suprema di Nuova Delhi ha giudicato ricevibile il ricorso dell’Italia sulla giurisdizione –Roma sostiene che il giudizio spetta all’Italia, perché i fatti si sono svolti in acque internazionali-; poi, il tribunale popolare di Kochi ha avallato l’accordo tra l’Italia e le famiglie delle vittime (10 milioni di rupie, circa 150 mila euro, ciascuna). Secondo una tv indiana, i parenti hanno “perdonato i fratelli italiani”. Certo, l’India non abbassa la guardia: così ieri il ministero degli Esteri ha ribadito che il caso “rientra nella nostra giurisdizione”. Ma essere generosi, anche nel Kerala, può indurre i giudici a essere clementi.

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