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mercoledì 25 aprile 2012

Ue: Francia/Olanda, crisi fa montare marea populismi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/04/2012

In fuga dalla recessione. E in fuga dall’Europa. Come se negare i problemi e rifugiarsi nel localismo al tempo della globalizzazione siano risposte efficaci. Certo, le ricette anti-crisi dell’Ue, rigore e sacrifici, tagli e riforme liberiste, non hanno –ancora?- condotto l’eurozona al sicuro, non innescano stimoli alla  ripresa e creano disagio sociale. Risultato, il richiamo dei populisti euroscettici acquista forza e i risultati elettorali lo provano.

“La crescita serve pure a mettere in sicurezza la democrazia”, dice Angelo Panebianco sul Corriere della Sera; e una politica di ‘lacrime e sangue’ senza impatti positivi tangibili la mette in pericolo, specie quando la paura di perdere il lavoro, le certezze del presente, le speranze del futuro, si somma e si salda alla paura del diverso, dello straniero, dell’altro. Euroscettici e xenofobi costituiscono un mix potenzialmente letale per l’Unione e per il disegno di integrazione che pure ha garantito, al nucleo originario, 60 anni e più di libertà, di pace, di democrazia, di progresso economico e sociale, e che ha ne fatto un irresistibile magnete di tutte le realtà circostanti e un catalizzatore di rispetto dei diritti dell’uomo.

E, intanto, tra la mancanza di coraggio dei leader attuali e l’inconsistenza dei demagoghi i burattinai della crisi, la finanza, le banche, le agenzie di rating, tirano ancora le fila dei loro profitti. Certo, la lettura delle elezioni in Francia e della crisi in Olanda varia molto, a seconda dell’orientamento dell’analista: Sarkozy vi dirà che le borse vanno giù perché Hollande, che vuole rinegoziare il Patto di Bilancio fra i 25 –Gran Bretagna e Repubblica Ceca ne sono fuori-, le spaventa; e Hollande vi spiegherà che il nervosismo dei mercati è frutto dell’exploit dell’estrema destra del Front National, con parole d’ordine contro l’euro e l’Unione. Ma se poi Sarkozy va a caccia dei voti ‘lepennisti’ sul terreno della sicurezza e delle frontiere le incertezze s’intrecciano e si rilanciano l’un l’altra.

La sinistra europea, che la crisi economica ha ridotto ai minimi termini – governa in una manciata di Paesi appena, nell’Ue – attende dalla Francia un segnale di riscossa il 6 maggio. Ma, nel cuore dell’Unione, la destra xenofoba ed euro-scettica ha il potere di fare cadere un governo non sui temi dell’immigrazione, ma su quelli del rigore: dopo il ‘dagli all’Islam’, è l’ora del ‘dagli all’euro’. Recessione e austerity fanno un’altra vittima, si confermano un moloch mangia governi.

L’Olanda, solo Paese del nucleo storico dell’integrazione europea ad avere un governo dipendente dall’appoggio esterno dei qualunquisti e populisti dell’estrema destra del Partito della Libertà -toh!- di Geert Wilders, s’avvia a elezioni politiche anticipate, dopo il fallimento dei negoziati per ridurre il deficit, in linea con quanto previsto dal Patto di Bilancio dell’Ue. Sollecitando la tenuta “al più presto” di consultazioni anticipate, gli xenofobi vogliono coagulare destra xenofoba e disagio sociale: Wilders, populisticamente, si erge a difensore delle pensioni e dell’occupazione, "Non lasceremo scorrere, a causa di Bruxelles, il sangue dei nostri pensionati". E c’è in Italia chi lo considera  il capo partigiano di una nuova resistenza.

L’avanzata degli euroscettici, ora con i toni della destra, ora con quelli della sinistra, ma sempre vigorosamente populisti, ha contagiato molti Paesi: in Belgio, i nazionalisti fiamminghi attendono che il governo del socialista francofono Elio Di Rupo cada per fare un balzo in avanti alle urne; e in Olanda, gli xenofobi anti-Islam fanno il governo e lo disfano; in Finlandia, i ‘veri finlandesi’, sorta di leghisti nordici, sono un interlocutore politico inevitabile; in Francia, Marine Le Pen guida l’estrema destra più in su di dove  suo padre Jean-Marie non fosse mai riuscito a portarla; in Italia e in Germania, dove le elezioni sono lontane, ci sono Grillo e i Piraten; in Grecia le urne di maggio rovesceranno il governo dei tecnici e i partiti tradizionali sotto una valanga di voti di protesta.

In Grecia, come in prospettiva in Italia, è in gioco il sistema politico, con la fine del bipartitismo: nel nuovo Parlamento, ci saranno non 5, ma 10 partiti. E i sondaggi rilevano forti contraddizioni: circa il 75% degli elettori dice di volere un governo di coalizione fra i due maggiori partiti (Pasok, socialista, e Nea Democratia, centrodestra), a garanzia della permanenza della Grecia nell’eurozona; ma, nello stesso tempo, dice che voterà per i partiti contro il Memorandum.

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