Scritto per EurActiv e per l'Indro il 23/04/2012
Che il limbo dell’Europa sarebbe durato altre due settimane, fino al ballottaggio del 6 maggio, era scontato: nessun candidato alle presidenziali francesi poteva farcela al primo turno. Ma dalle urne esce una partita particolarmente incerta: vantaggio a Francois Hollande, candidato socialista, che esce in testa dal primo turno col 28,6% delle preferenze; ma il presidente uscente Nicolas Sarkozy è lì a ridosso, a meno d’un punto, con il 27,8%. E la destra, con l’exploit di Marine Le Pen, che supera il 18%, mette insieme quasi il 46% dei voti, più della sinistra, dove Jean-Luc Melenchon resta al di sotto delle attese suscitate dalla sua campagna (11,1%). L’ago della bilancia appare il centro che sostiene Francois Bayrou: 9,1% di suffragi e la possibilità d’orientare il risultato finale. Quanto ai Verdi, che con Eva Joly ottengono il 2,3%, hanno già scelto Hollande.
Certo, la somma dei voti degli schieramenti non è l’unico criterio valido per valutare le possibilità dell’uno o dell’altro degli ormai due contendenti. Perché, ad esempio, non è affatto detto che i voti ‘lepennisti’ vadano tutti a Sarkozy; ed è molto probabile che i sostenitori di Bayrou si dividano tra Sarkozy e Hollande, anche se il loro ‘campione’ dovesse fare una scelta di campo. Un dato, però, emerge con chiarezza: i francesi hanno sconfitto l’astensionismo, perché l’affluenza alle urne supera l’80%.
Contro Sarkozy, c’è la crisi che finora, in Europa, è stata moloch implacabile coi governi al potere: tutti bocciati, indipendentemente dal loro orientamento, o alle urne o senza neppure arrivare al voto –è successo in Italia e in Grecia-. E c’è pure la statistica: Sarkò è il primo presidente francese in carica a non uscire in testa dal primo turno. Anche il centrista Valerie Giscard d’Estaing, nel 1981, quando venne poi battuto da François Mitterrand, era davanti prima del ballottaggio.
Contro Hollande, c’è la tradizione di una sinistra abituata (in Francia, come altrove) a farsi spesso male da sola con le sue divisioni. I sondaggi, per ora, danno Hollande vincitore al ballottaggio e con un margine piuttosto netto –l’Ipsos gli attribuisce il 54% dei suffragi-. Ma due settimane d’ulteriore campagna possono ancora incidere, specie perché gli indecisi sfiorano un quinto dell’elettorato: il 18%, un serbatoio che può cambiare l’esito della corsa.
Hollande s’aspetta che Sarkozy “faccia leva sulla paura” per mobilitare l’elettorato di destra: paura della crisi, ma anche della violenza e dello straniero. Però, intorno alla Francia, c’è un’Europa, quella della Merkel e di Rajoy, di Cameron e di Monti, che teme, a sua volta, che Hollande faccia saltare gli equilibri nell’Unione e ponga una sorta di alternativa tra rigore e crescita, invece dell’approccio in successione –prima il rigore, poi la crescita- che è stata la linea Merkel-Sarkozy (salvo che alla seconda fase non si è ancora passati). Infatti, c’è chi, anche in Italia, vede nel successo di Hollande un segnale di stop all’Europa delle banche e della finanza. E il candidato socialista dice che con lui “si volta pagina”: in Francia e in Europa.
Sarà forse vero, se il coraggio, una dote che il funzionario di partito Hollande non ha mai mostrato di possedere in grandi quantità, dovesse prevalere sulla prudenza e sulla tendenza al compromesso. C’è l’impressione che la pagina dell’Europa sia, per il momento, un foglio pieno di scarabocchi, dove, accanto alle colonne del rigore, della crescita e del ‘cantiere istituzionale’ per accelerare l’integrazione, ve n’è una quarta: quella della protesta indistinta di chi non tira più avanti e dell’opposizione a 360 gradi, che accomuna nel no xenofobi ed euro-scettici e che talora mescola, come accade in Olanda, i temi dell’estrema destra qualunquista e 'sociale' a quelli della sinistra più radicale e antagonista.
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