Scritto per L'Indro l'11/04/2012
Sembra la notizia più scontata di questo Mondo, anzi del Nuovo Mondo: Mitt Romney, un uomo d’affari ricco e di successo, un moderato, un mormone, sarà lo sfidante repubblicano del presidente democratico Barack Obama nelle elezioni del 6 novembre negli Stati Uniti. Ma all’epilogo che pareva già scritto s’è giunti dopo cento giorni di primarie frammentate, oltre 30 voti o assemblee in oltre la metà degli Stati dell’Unione e in una mezza dozzina di territori tra Atlantico e Pacifico.
Alla fine, Romney ha vinto; o, almeno, Rick Santorum, il principale avversario, uno che nessuno s’aspettava sarebbe andato così lontano, s’è ritirato. Nel segno dei valori della famiglia, che hanno segnato tutta la sua campagna, Santorum, integralista cattolico, italo-americano, ex senatore della Pennsylvania, s’è fatto da parte quando doveva apparentemente scegliere tra lo stare vicino alla figlia più piccola, gravemente malata, o l’andare in giro per l’Unione a fare campagna.
In realtà, la partita era già decisa. Santorum, il 24 aprile poteva pure vincere le primarie in Pennsylvania , ma avrebbe perso quelle a New York e altrove. E maggio poteva ancora consentirgli successi al Sud e lungo la Cintura della Bibbia, soprattutto in Texas. Ma ai primi di giugno la California, lo Stato più popoloso, avrebbe chiuso i conti a favore di Romney, che dispone già di oltre la metà dei delegati necessari a garantirsi la nomination alla convention di Tampa, a fine agosto.
L’annuncio del ritiro di Santorum è arrivato martedì 11 aprile, un po’ bruscamente: “Questa campagna presidenziale è finita per me”, ha detto l’ex senatore, amico di George W. Bush, parlando a Gettysburg, nella sua Pennsylvania. Ufficialmente, il ritiro ha qualcosa a che vedere con le traversie di salute di Bella, oggi tre anni, cui i medici, alla nascita, avevano pronosticato una morte precoce. Ma più che l’amore d’un papà potè il denaro, perché Santorum era rimasto senza soldi e non ce la faceva più a competere con Romney, che, invece, ha le casse piene (non quanto Obama, ma abbastanza per schiantare i suoi rivali di partito).
Fra i primi a commentare, proprio Romney, che ha finalmente avuto parole di apprezzamento per l’ormai ex antagonista. “E’ stato una voce importante per il partito e per il Paese”, ha detto con un comunicato, consacrato, però, per l’essenziale, a mettere sotto tiro il presidente Obama: “La cosa più importante è lasciarci alle spalle i fallimenti di questi ultimi tre anni e di rimettere l’America sulla strada della prosperità”.
La campagna di Obama ha risposto a giro di mail, prendendo di mira Romney il ricco che paga poche tasse (non che le evada, ma approfitta di tutte le scappatoie della legge): Jim Messina, direttore della campagna del presidente, giudica “non stupefacente che Romney sia finalmente riuscito a logorare i suoi concorrenti sotto una valanga di pubblicità negativa”.
Formalmente, Romney ha ancora dei rivali interni: l’ultra-conservatore Newt Gingrich, che fu speaker della Camera negli Anni Novanta, e il libertario Ron Paul, un ginecologo che fu deputato del Texas al Congresso. Ma i dati di RealClearPolitics parlano chiaro: Romney può già contare su 656 delegati (ne servono 1144 per blindare la nomination), Santorum ne aveva 272 –e non li ha riversati su nessun altro concorrente-, Gingrich 140 e Paul 67. Gingrich e Paul intendono restare in lizza: il primo sollecita i sostenitori di Santorum a schierarsi con lui; mentre Paul si definisce “l’ultima vera risposta conservatrice” al moderato Romney.
Fuochi fatui di primarie ormai consumate. Usa 2012 sarà un testa a testa fra il primo presidente nero, che punta a un secondo mandato, e un moderato per bene e un po’ noioso, ma competente, che non piace all’ultra-destra del suo partito, ma che può sottrarre consensi ai democratici al centro. Certo, la scelta si riduce a essere tra il vero Obama e un suo clone, appena un po’ più moderato, e bianco; e, se puoi portarti a casa l’originale, perché dovresti scegliere l’imitazione?
mercoledì 11 aprile 2012
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