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giovedì 12 aprile 2012

Usa 2012: il prezzo d'un presidente, i conti di Obama e Romney

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/04/2012

Più che l’amore di un papà potè il denaro. Rick Santorum ha lasciato la corsa alla nomination repubblicana dopo una riunione di famiglia intorno al tavolo della cucina: ufficialmente per stare vicino a Bella, la figlia più piccola, tre anni e una brutta malattia; ma di fatto perché aveva quasi finito i soldi (15 milioni e mezzo di dollari incassati a fine febbraio, 14 milioni già spesi) e non poteva più andare lontano, anzi era quasi costretto a fare campagna solo in Pennsylvania, il suo Stato.

“The best democracy that money can buy”, la miglior democrazia che il denaro può comprare, è il titolo d’un libro inchiesta del 2002 di Greg Palast, giornalista investigativo, sull’America che elesse George W. Bush (pur votando di più Al Gore). In un succoso articolo, il professor James Walston lo adatta ora all’Italia, ma il titolo resta valido anche per Usa 2012, perché, parafrasando il vangelo, “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un povero vada alla Casa Bianca”.

A ogni elezione, si battono i record di soldi raccolti e di spese fatte: nel 2008, per la prima volta i candidati alla Casa Bianca superarono il miliardo di dollari spesi, 730 milioni di dollari il democratico (e vincitore) Barack Obama - gli restò un gruzzoletto di 15 milioni, dopo l’Election Day - e 333 milioni il repubblicano (e sconfitto) John McCain – a lui, restarono in cassa ben 35 milioni di dollari, ma se pure li avesse spesi tutti non avrebbe mai colmato il gap di consensi dal primo nero presidente -. Certo, ci fu pure chi fece tutta la campagna con meno di 200 mila dollari, come la candidata verde Cynthia McKinney, ma non è un caso se nessuno l’ha mai sentita nominare.

Quest’anno, si è ben partiti per battere quel record, grazie pure a una modifica delle regole che facilita l’intervento dei grandi donatori. I dati che citiamo vengono dal sito della Commissione elettorale federale, attraverso le rielaborazioni di un sito specializzato, opensecrets.org. Obama, che finora ha fatto campagna ai minimi termini, perché i repubblicani si sbranavano fra di loro e non c’era bisogno di sprecare risorse ed energie, aveva raccolto, al 29 febbraio, oltre 157 milioni di dollari e ne aveva spesi meno della metà, neppure 75. Al 45%, le sue casse sono riempite da piccoli finanziamenti individuali, con una raccolta via internet capillare: la sua ‘arma letale’ nel 2008 e –forse- pure quest’anno.

Esattamente il contrario di Mitt Romney, che, dopo il ritiro di Santorum, è praticamente certo di essere, il 6 novembre, lo sfidante repubblicano: il mormone, milionario del suo, di soldi ne ha raccolti 74 milioni, ma ne ha spesi il 90%. E, a lui, i fondi arrivano soprattutto da grandi aziende e gruppi di pressione: solo il 10% viene da piccoli finanziamenti individuali. Dopo Romney, il repubblicano più ricco è a sorpresa il libertario Ron Paul, 34 milioni raccolti, praticamente tutti spesi, quasi al 50% frutto di piccoli versamenti. E poi c’è Newt Gingrich, quasi 21 milioni raccolti, quasi tutti spesi, fidando come Paul sui piccoli contributi. A fine febbraio, Santorum era il più povero dei repubblicani in lizza: aveva persino raccolto meno fondi di due aspiranti alla nomination ritiratisi alle prime battute, Herman Cain, milionario molestatore, e Rick Perry, governatore del Texas dalla gaffe facile. E, come Paul e Gingrich, Santorum doveva soprattutto affidarsi alle donazioni individuali.

Adesso che la corsa è di fatto a due –Gingrich e Paul restano in lizza, ma nessuno ci scommette un dollaro-, i contributi possono meglio canalizzarsi, anche se, probabilmente, la campagna vivrà una fase di stanca, fino alle conventions repubblicana (Tampa, fine agosto) e democratica (Charlotte, inizio settembre). Di lì, i 60 giorni più intensi e più dispendiosi. Per Romney, si mobiliteranno la finanza e l’impresa. Per Obama, la gente comune e la cultura liberal: s’è dato da fare De Niro a New York; si sta dando da fare Clooney in California, con una festa da 150 ‘invitati’ tutti disposti a pagare 40mila dollari per cenare con il presidente (obiettivo, versare 6 milioni di dollari al fondo Victory Obama).

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