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martedì 17 aprile 2012

Usa 2012: il no alla Buffet Rule un handicap per Romney

Scritto per L'Indro il 17/04/2012

Uccidendo la Buffet Rule, si sono forse suicidati: i senatori repubblicani che hanno bloccato la legge ispirata dal finanziere filantropo Warren Buffet, che vorrebbe introdurre elementi d’equità nel sistema fiscale Usa, potrebbero avere compromesso in modo definitivo la possibilità che un repubblicano conquisti quest’anno la Casa Bianca. Il presidente democratico Barack Obama ha buon gioco ad accusarli di proteggere i paperoni d’America a spese del ceto medio.

La Buffet Rule prende il nome da un’aforisma del finanziere, che segnalò come la sua segretaria pagasse percentualmente più tasse di lui, perché, negli Usa, i redditi da capitale sono tassati molto meno dei redditi da lavoro. Una norma di cui beneficia pure Mitt Romney, che sarà il candidato repubblicano alla presidenza nelle elezioni del 6 novembre.

Ma pur se il voto del certo medio risulterà decisivo, resta però escluso che un povero arrivi alla Casa Bianca. “The best democracy that money can buy”, la miglior democrazia che il denaro può comprare, è il titolo d’un libro inchiesta del 2002 di Greg Palast, giornalista investigativo, sull’America che elesse George W. Bush (pur votando di più Al Gore). In un succoso articolo, il professor James Walston lo adatta ora all’Italia, ma il titolo resta valido anche per Usa 2012, perché, parafrasando il vangelo, “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un povero vada alla Casa Bianca”.

A ogni elezione, si battono i record di soldi raccolti e di spese fatte: nel 2008, per la prima volta i candidati alla Casa Bianca superarono il miliardo di dollari spesi, 730 milioni di dollari il democratico (e vincitore) Barack Obama - gli restò un gruzzoletto di 15 milioni, dopo l’Election Day - e 333 milioni il repubblicano (e sconfitto) John McCain – a lui, restarono in cassa ben 35 milioni di dollari, ma se pure li avesse spesi tutti non avrebbe mai colmato il gap di consensi dal primo nero presidente -. Certo, ci fu pure chi fece tutta la campagna con meno di 200 mila dollari, come la candidata verde Cynthia McKinney, ma non è un caso se nessuno l’ha mai sentita nominare.

Quest’anno, si è ben partiti per battere quel record, grazie pure a una modifica delle regole che facilita l’intervento dei grandi donatori. I dati che citiamo vengono dal sito della Commissione elettorale federale, attraverso le rielaborazioni di un sito specializzato, opensecrets.org. Obama, che finora ha fatto campagna ai minimi termini, perché i repubblicani si sbranavano fra di loro e non c’era bisogno di sprecare risorse ed energie, aveva raccolto, al 29 febbraio, oltre 157 milioni di dollari e ne aveva spesi meno della metà, neppure 75. Al 45%, le sue casse sono riempite da piccoli finanziamenti individuali, con una raccolta via internet capillare: la sua ‘arma letale’ nel 2008 e –forse- pure quest’anno.

Esattamente il contrario di Mitt Romney: il mormone, milionario del suo, di soldi ne ha raccolti 74 milioni, ma ne ha spesi il 90%. E, a lui, i fondi arrivano soprattutto da grandi aziende e gruppi di pressione: soltanto il 10% viene da piccoli finanziamenti individuali. Dopo Romney, il repubblicano più ricco è a sorpresa il libertario Ron Paul, 34 milioni raccolti, praticamente tutti spesi, quasi al 50% frutto di piccoli versamenti. E poi c’è Newt Gingrich, quasi 21 milioni raccolti, quasi tutti spesi, fidando come Paul sui piccoli contributi. A fine febbraio, Rick Santorum, l’antagonista più temibile di Romney,fattosi da parte la scorsa settimana, era il più povero dei repubblicani in lizza: aveva persino raccolto meno fondi di due aspiranti alla nomination ritiratisi alle prime battute, Herman Cain, milionario molestatore, e Rick Perry, governatore del Texas dalla gaffe facile. E, come Paul e Gingrich, Santorum doveva soprattutto affidarsi alle donazioni individuali.

Adesso che la corsa è di fatto a due –Gingrich e Paul restano in lizza, ma nessuno ci scommette un dollaro-, i contributi possono meglio canalizzarsi, anche se, probabilmente, la campagna vivrà una fase di stanca, fino alle conventions repubblicana (Tampa, fine agosto) e democratica (Charlotte, inizio settembre). Di lì, i 60 giorni più intensi e più dispendiosi. Per Romney, si mobiliteranno la finanza e l’impresa. Per Obama, la gente comune e la cultura liberal: s’è dato da fare De Niro a New York; si sta dando da fare Clooney in California, con una festa da 150 ‘invitati’ tutti disposti a pagare 40mila dollari per cenare con il presidente (obiettivo, versare 6 milioni di dollari al fondo Victory Obama).

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