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giovedì 5 aprile 2012

Usa 2012: è ormai match Obama - Romney

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/04/2012

Per l’aritmetica, non è finita. Per la politica, e il buon senso, sì. E, infatti, la campagna è cambiata, almeno quella di Mitt Romney e del presidente Barack Obama: da ieri, il milionario mormone sfoggia il sorriso del vincitore, ignora i suoi antagonisti per la nomination repubblicana e attacca, invece, il presidente; e Obama, a sua volta, ‘sdogana’ l’ex governatore del Massachusetts chiamandolo in causa in un discorso, quasi un’investitura della Casa Bianca al rivale nelle elezioni del 6 novembre.

Segno che loro ora sanno che andrà a finire così. E, in conversazioni private, lo staff del presidente mostra per Romney un timore persino esagerato, se misurato sui sondaggi che danno Obama ben davanti allo sfidante: a Chicago, città feudo e fulcro della campagna per la rielezione, c’è chi dice ‘off the record’ a visitatori eccellenti che “vada come vada c’è il rischio che Romney vinca”.

Scaramanzia, forse. O segno d’impazienza, che il presidente vada all’attacco. In fondo, come scrive sulla Reuters con auguzia Andy Sullivan, Romney è stato appena “promosso da battistrada” fra i repubblicani ad “outsider” nella competizione presidenziale: è lo sfidante che parte sfavorito. E che, al primo scambio di battute al vetriolo, serve un assist al presidente, sotto la cui guida –dice- “la ripresa è la più tiepida, la più debole, la più dolorosa dall’inizio della nostra storia economica”: sarà pure lenta, ma è ripresa, con il pil in crescita e la disoccupazione in calo, mentre i repubblicani avevano consegnato al democratico nero un’America nella crisi peggiore dopo quella del ’29.

Il momento di svolta sono tre primarie senza grande pathos, quasi scontate: Romney vince, come previsto, nel Wisconsin, nel Maryland e a Washington, allunga il passo e supera i 650 delegati. Alla convention di Tampa, a fine agosto, ne serviranno 1144 per garantirsi la nomination. Ormai, è solo una questione di somme: Rick Santorum, integralista cattolico d’origine italiana, il rivale più pericoloso, ha meno di 280 delegati; Newt Gingrich, ex speaker della Camera, e Ron Paul, campione libertario, sono fermi a 135 e a 51.

Romney non salderà il conto ad aprile, nonostante il calendario gli sia favorevole, con l’eccezione della Pennsylvania, lo Stato di Santorum. E maggio offre all’ex senatore vicino a George W. Bush speranze di successi, ma parziali. Per chiudere aritmeticamente i conti bisognerà forse attendere il 5 giugno e la California.

Le vittorie di Romney di ieri hanno avuto dimensioni diverse: un plebisicito a Washington, dove Santorum non era neppure in lizza; netta nel Maryland; contrastata nel Wisconsin. Santorum non s’arrende. “Siamo alla fine del primo tempo –dice-. Il secondo inizierà dalla Pennsylvania”, il 24 aprile. Ma se dovesse perdere nel suo Stato, dove Romney s’accinge a fare campagna spendendo un sacco di soldi, l’italo-americano potrebbe abbandonare la corsa.

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